I giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea oggi hanno bocciato il maxi indennizzo per 880 milioni di euro chiesto dalla famiglia Malacalza alla Banca centrale europea.
L’ex primo azionista dell’istituto, con il 27,5% a fine 2018, puntava contro le azioni e omissioni della vigilanza europea su Carige (oggi gruppo Bper), a partire dal 2014 e fino all’amministrazione straordinaria scattata a inizio 2019.
Il Tribunale è lo stesso che nel 2022 aveva clamorosamente annullato la decisione Bce di porre la banca di Genova in amministrazione.
Nella nuova sentenza la Corte non esclude espressamente che ci siano state violazioni Bce su Carige, ma sottolinea che comunque non si sta parlando di “norme preordinate a conferire diritti ai privati”.
In altre parole, il sistema di vigilanza bancaria Bce persegue l’interesse pubblico e non comporta “una responsabilità extracontrattuale dell’Unione”. In massima sintesi, non si possono chiedere danni a Bce.
L’altro nodo della sentenza è che non siano state provate “gravi irregolarità” per potere affermare che su Carige ci sia stata da parte di Bce una “violazione sufficientemente qualificata”, talmente grave da giustificare azioni legali.
Viene dunque bloccato per ora a Lussemburgo il secondo grande filone della battaglia avviata dagli industriali siderurgici e dei magneti superconduttori, per cercare ristoro su Carige, dopo averla sostenuta aumento di capitale dopo aumento di capitale per trovarsi con nulla in mano.
La famiglia genovese non ha commentato la sentenza, ma si può già supporre che farà ricorso.
Nel 2021 a Genova era stata respinta la richiesta di risarcimento danni per 480 milioni, avanzata dai Malacalza su Carige, il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd, ovvero tutte le banche italiane in consorzio) e Cassa centrale banca. La causa sta proseguendo ora in Appello.
I Malacalza erano entrati in Carige nel 2015 acquistando il 10% dalla Fondazione conferitaria e hanno investito circa mezzo miliardo di euro.
Nei documenti della causa si arriva al valore di 880 milioni sommando una perdita stimata dalla Malacalza investimenti in 623 milioni per il valore della quota (considerando non realizzato il contestato aumento del 2019), per il premio di controllo (85 milioni) e il valore residuo dell’investimento (28 milioni), assieme ad altri 223 milioni da riduzione del patrimonio netto per la contestata dismissione dei crediti deteriorati. Per il capofamiglia Vittorio Malacalza la somma di un calcolo analogo stima il danno a 9,5 milioni di euro.