Oltre un decennio dopo “L’elisir d’amore” Donizetti crea una seconda opera buffa, con l’intento di ripresentare personaggi e situazioni tipiche del filone comico, in chiave più realistica.
Il libretto fu affidato al fuoriuscito mazziniano Giovanni Ruffini, che però non volle firmarlo per le numerose modifiche introdotte dall’autore, al quale la leggendaria fretta di comporre (presto, presto!) non impediva di revisionare ed adattare continuamente i testi alla musica.
La prima rappresentazione avvenne a Parigi e poco dopo, nell’aprile 1843, alla Scala.
Per comprendere davvero i personaggi del “Don Pasquale” se ne riporta la descrizione degli stessi autori: il protagonista è un “vecchio celibe tagliato all’antica, economo, credulo, ostinato”, il dottor Malatesta è un uomo “di ripiego, faceto, intraprendente”, amico sia di don Pasquale che del nipote Ernesto, un giovanotto entusiasta, idealista e leale, come vuole la verde età, amante corrisposto di Norina, “giovane vedova, impaziente, schietta, affettuosa” e un tantino cinica, come sono spesso le donne vincenti.
La luminosa scena allestita dal Carlo Felice e’ una delle più riuscite della stagione: ricostruisce perfettamente l’arredamento e l’atmosfera effervescente di un casino’, tavoli da gioco dove si esulta per le vincite, conigliette succinte per servire i clienti, scala che conduce ai piani superiori… , curioso contrasto con la vita, l’indole, nonchè l’immagine della donna ideale che ha in pectore Pasquale da Corneto, il proprietario.
Don Pasquale intende dare una virata alla propria vita sposando la giovane Sofronia ( che il medico Malatesta spaccia per sua sorella) e pensa addirittura a popolarla con mezza dozzina di pargoli: questo matrimonio punirebbe, lasciandolo senza eredità, il nipote Ernesto, che non vuole accettare il matrimonio di convenienza impostogli dallo zio perchè innamorato della squattrinata Norina.
Malatesta, in realtà, vuole favorire Ernesto: la sposina pudica e velata che presenta all’anziano è la stessa Norina, che, pur di riuscire nel suo intento, finge di assecondare le opinioni antiquate del povero Pasquale sul ruolo delle mogli.
Una volta redatto un finto contratto di matrimonio, la giovane beffa fin da subito il maturo sposo, imponendogli spese folli, umiliazioni verbali, affermazioni libertarie, giungendo perfino a schiaffeggiarlo. “Voglio” è la sua parola d’ordine.
Il povero Pasquale, giunto ai limiti della depressione, invocherà un divorzio liberatore ed accetterà di assegnare al nipote un cospicuo assegno annuo per le sue nozze con la stessa Norina.
Don Pasquale è opera dai tratti comici spesso assoluti e di evidente sapore rossiniano: vi sono tutte le maschere del teatro comico e il suo eterno motore, il denaro. I personaggi sono persone dai tratti riconoscibili con ben noti comportamenti, non maschere stereotipate ma essere umani vivi e contraddittori.
Ma anche opera malinconica, a volte pervasa da un clima romantico e da aspetti vicini al sentimento poco presenti nella tradizione buffa: e non a caso con il Don Pasquale si conclude storicamente l’epoca dell’opera comica per andare verso il genere “serio”, che già il pubblico prediligeva.
Da gustare i profili psicologici dove Ruffini si conferma fine psicologo:magistrale il ritratto di Sofronia che viene definita dal finto fratello “alma innocente e candida che sè medesma ignora”.
L’azione ha il sapore di un fotoromanzo e alimenta il contrasto tra l’ ambiente e la figura di un ingenuo Don Pasquale, al quale la vecchiaia non ha insegnato nulla, neppure a non fidarsi di se stesso: amaramente divertente l’ingenuità con cui si lascia abbindolare dalle parole di Sofronia – Norina (pare che non aspetti altro), che snocciola una specie di vademecum della buona moglie tutta cucito, ricamo, cucina.
Figura già vetusta più di un centinaio di anni fa ma dura a morire ( forse ancora nei sogni di qualche uomo moderno?), come ci ricordano i nostri disincantati autori. D’altra parte il fascino della gioventù spesso pone da sempre una corposa benda sugli occhi degli aspiranti coniugi.
Spiace che la prima rappresentazione non abbia incontrato i favori del pubblico: certamente qualche licenza della regia non sarebbe piaciuta a DonizettI ed è parsa forse eccessiva.
La replica, cui si riferisce l’attuale recensione, ha evidenziato belle voci nella modulazione e nella misura dei giovani allievi dell’Accademia di alto perfezionamento ed inserimento, in particolare si cita Davide Maria Sabatino e Angelica Disanto, mentre la conduzione dell’orchestra da parte del maestro Ciampa è apparsa energica e convincente. Al Carlo Felice fino a domenica 11 giugno. Elisa Prato