Il giorno 19 dicembre sarebbe stato il compleanno di Édith Piaf. Ribadire la grandezza di questa cantante e cantautrice, poco scolarizzata, che ha saputo trasmettere forti emozioni a spettatori di tutti i tempi è quasi una banalità.
Non esiste una persona che, ascoltando ” la vie en rose”, non abbia sospeso per un attimo il proprio quotidiano, magnetizzata da quella voce roca, profonda ed incantatrice, dalla vibrazione di quella erre moscia che ti faceva sentire nelle “bras” del proprio pensiero d’amore.
“Quando mi stringe fra le braccia e mi parla a bassa voce io vedo la vita in rosa”: questo il respiro profondo di Édith, espresso dalle sue canzoni, un desiderio d’amore ostinatamente perseguito e mai raggiunto.
Una difficile Venere in Capricorno opposta a Saturno, pianeta delle prove, e a Plutone, pianeta della morte: ecco i segni del suo destino di donna destinata ad una perenne insoddisfazione affettiva ( un buddista lo chiamerebbe il suo Karma ) e a grandi tragedie come la morte della figlioletta e del pugile suo grande amore Marcel Cerdan.
Nella rappresentazione in corso ancora per due spettacoli al Carlo Felice ( prologo e due atti a firma di Maurizio Fabrizio su libretto di Guido Morra della durata di tre ore, intervallo compreso) non si cantano le sue canzoni: l’autore racconta la storia d’amore più intensa di Édith, quella che per un solo anno, fra il 1948 e il 1949, la legò al campione del mondo dei pesi medi franco-marocchino Cerdan.
Una Édith verosimile, piccola ed esile, di salute cagionevole come le privazioni dell’infanzia e gli eccessi del poi l’avevano resa : un’artista irascibile, suscettibile, stravagante, capricciosa, dipinta, come lei stessa ironicamente si definisce nel testo dello spettacolo, ma consapevole di avere, come Édith donna, un bel nulla, “solo un po’ d’amore ma da rubare come una ladra”.
Infatti Marcel Cerdan è sposato con Marinette, che nel sogno-incubo Édith insulta e zittisce come rivale ma che riconosce come il suo contrario, proba, saggia, premurosa, astemia, soave, religiosa, una torturante inquietudine per la protagonista che, infatti, per tutto la durata dello svolgimento, comunica una continua sensazione di ineguatezza nei confronti della vita. Ossessionata dal passato tumultuoso per destino e per scelta (una vita “bevuta in un sorso”) spera sempre che l’ Amore le porti la salvezza: “Marcel… salvami tu da me stessa, se vuoi”.
La scena si presenta in genere scura, spoglia, quasi ad invitare lo spettatore ad esplorarne il simbolo, quasi per meglio far risaltare i forti sentimenti dell’azione. Una parte notevole ed efficace dello spettacolo è dedicata alle prestazioni sul ring di Cerdan, dagli inizi e dalla vita presumibilmente non meno difficile di quella di Édith, tanto che i due amanti possono definirsi entrambi pugili, uno sul ring, l’altra nella vita.
La regia si destreggia con dinamicità d’azione tra le scene drammatiche dei combattimenti e dei ricatti del mondo del pugilato e quelle di sapore lirico con accenti pucciniani che delineano il dramma dei sentimenti.
All’altezza delle aspettative il cast, sia per le prestazioni liriche ed attoriali, sia per l’azzeccata fisicità dei personaggi, che hanno strappato applausi a scena aperta da parte del pubblico entusiasta.
Il maestro e direttore emerito Donato Renzetti, che conclude con questa esibizione, dopo A Midsummer nigt’s dream e Werther, il ciclo lirico sul tema dell’amore, ha confermato la sua particolare abilità di supportare il testo e di sostenere un perfetto equilibrio tra palco ed orchestra. Un plauso al coro, comunque efficace e presente nonostante fosse operativo a ranghi ridotti a causa dello sciopero di alcuni artisti. ELISA PRATO