Falstaff, opera buffa di Giuseppe Verdi, è in corso al teatro Carlo Felice da venerdi 7 marzo.
Nell’agosto del 1879 il Nostro si irritò con l’editore Ricordi perchè la sua Gazzetta Musicale aveva pubblicato un parere negativo espresso anni prima da Rossini sull’incapacità di Verdi di allestire un’opera comica. E lo stesso Verdi scrisse a Ricordi: “Ma guardate un po’! Ho cercato per vent’anni un libretto d’opera buffa e ora che si può dir trovato, voi, con quell’articolo, mettete in corpo al pubblico una voglia matta di fischiarmi l’opera ancor prima di essere scritta… Se per caso il mio cattivo genio mi trascinasse a scrivere quest’opera buffa, niente paura, ruinerò un altro editore! ”
E’ probabile che fosse proprio Falstaff quell’opera buffa, perchè il soggetto delle “Allegre comari di Windsor” di Shakespeare era all’ attenzione di Verdi sin dal 1849. Certo è che Arrigo Boito, librettista dell’opera (in primis non particolarmente simpatico al Maestro in quanto aderente alla corrente rivoluzionaria della Scapigliatura ), fece avere fin dal 1889 a Verdi un primo abbozzo del libretto. Il lavoro di entrambi portò alla prima rappresentazione del Falstaff alla Scala il 9 febbraio 1893, con gran successo di pubblico e critica. L’altra mezza italia partecipò alla prima romana nell’aprile dello stesso anno, con richiesta di bis per il protagonista e per il quartetto delle comari.
Basata sulla commedia shakespeariana, l’opera ha per protagonista il cattivo compagno di giovinezza di Enrico V, sir John Oldcastle, che, per i malumori della famiglia, fu trasformato dallo stesso Shakespeare in sir John Falstaff. Il bel ragazzo di un tempo ( “Quand’ero paggio” ) si è trasformato in un grasso beone che vanta successi con le sottane, ma in realtà il suo scopo è di fare soldi. Egli è vittima di uno scherzo delle comari, alle quali partecipa anche un marito, prima complice delle stesse e poi in qualche modo temporaneamente vittima perchè diventato geloso e sospettoso della consorte Alice. Le donne, allo scopo di salvare Falstaff, lo nascondono in una cesta di biancheria sporca, e, tra le risate, lo fanno finire in un fossato. Come sir John si riprende, si predispone per lui una seconda burla “galante”: stavolta viene attirato in un parco dove un gruppo mascherato lo impaurisce, lo punzecchia e lo malmena. E la morale finale è che “Tutto nel mondo è burla!”
Il Falstaff è un magistrale ritorno all’opera comica, una risposta italiana all’opera drammatica wagneriana; però, dopo i primi grandi successi, non ha mai conquistato la popolarità di altri capolavori verdiani.Il motivo sta forse nel fatto che non se ne è compresa la modernità e l’innovazione: l’opera ha caratteristiche di continuità fra melodia e declamato e pertanto manca di arie e duetti di facile effetto, si compone di una lunga successione di motivi inseriti in uno spartito musicale del tutto nuovo, con un ritmo veloce ed incalzante, senza interruzioni. Da annotare che il recitato la fa da padrone e si pone come uno dei primi assaggi del teatro in musica, abbandonando gli schemi del melodramma. Gusto e dimensione ai quali il maestro concertatore e direttore Jordi Bernàcer ha pienamente aderito.
Applausi e pieno consenso per il baritono Ambrogio Maestri ( che ha debuttato nel 2001 durante il centenario verdiano appunto con Falstaff, diretto alla Scala da Riccardo Muti) che ha saputo sostenere magistralmente, da ironico mattatore, la parte di Falstaff. Applausi anche per Ernesto Petti- Ford e il simpatico e travolgente quartetto delle allegre comari Alice, Nannetta, Quickly, Meg e per tutto il cast.
Damiano Michieletto e Andrea Bernard hanno ripreso la scenografia di Paolo Fantin (acquistata dalla Scala) che ha riprodotto la calda e morbida ambientazione del salone della Casa Verdi per musicisti di Milano, comode poltrone, soffici divani e un pianoforte che accenna temi verdiani. Lo stesso regista dichiara che ha pensato a Falstaff come ad un anziano cantante a riposo circondato da personaggi che lo incitano a rinnovarsi: e infatti emergono i temi della malinconia, della vecchiaia e della morte. La vicenda appare impostata su un ricordo o su un tono marcatamete onirico. Nonostante le belle trovate della sceneggiatura in corso d’opera, il divertente gioco di lampadari che sottolinea la rabbia di un marito, le simpatiche bolle di sapone intorno ad un sir John dormiente, l’insieme non è esente da una certa confusione di azioni che può lasciare perplesso lo spettatore, a cominciare da tutti gli interpreti costantemente sul palco e alla misera e simbolica ricostruzione del parco. E il finale, su due piani, lascia alquanto perplessi.
Opera comunque piacevole, in scena ancora domenica 9, martedì 11, giovedi 13 marzo. Durata 180 minuti intervallo compreso. Di seguito il link della notizia. ELISA PRATO