A Gioachino Rossini (Pesaro 1792, Parigi 1868) si attribuisce la fortuna e il merito di essere arrivato sulla scena dell’opera italiana quando questa versava in crisi creativa.
Sta di fatto che il compositore di ben trentanove opere portò alla massima perfezione l’opera buffa e rinnovò l’opera seria abolendo ciò che formalmente distingueva i due generi.
Dopo aver debuttato a diciotto anni con “La cambiale di matrimonio” a Venezia, arrivò al successo nella stessa città con” Tancredi” del 1813.
La prima rappresentazione de “Il turco” al teatro alla Scala nel 1814 fu accolta freddamente, forse perchè apparve troppo calcata sui presunti difetti italiani: sta di fatto che l’opera, più che all’elemento comico si presta all’elemento intrigo (anche ai fini di dare lo spazio teatrale ad un poeta che cerca un’ispirazione non troppo banale o già troppo rappresentata).
Solo nell’anno 1950 una strepitosa Maria Callas, nella parte di donna Fiorilla, ne suggellò un duraturo successo al Teatro Eliseo di Roma.
La vicenda si svolge a Napoli. Don Geronio è il maturo sposo di Fiorilla, sua giovane consorte, donna soddisfatta in tutti i capriccetti, dalla moda agli svaghi, elencati dal desolato marito nel secondo atto, ma con una grande voglia di divertirsi e di sperimentare le sue capacità seduttive, già provvista di un …adoratore.
L’uomo, consapevole della superficialità della moglie e incapace di governarla, va alla ricerca di una zingara che possa predire il suo futuro coniugale.
Tra gli zingari vi è anche il poeta Prosdocimo, in cerca di spunti per un nuovo soggetto, al quale la zingara Zeida confida le sue pene d’amore per il principe Selim.
Improvvisamente arriva con un’imbarcazione un principe turco, che è proprio Selim, anche lui con una grande voglia di divertirsi, e destino vuole che si imbatta in Fiorilla e cominci a corteggiarla, ottenendo un immediato invito per sorseggiare un caffè a casa della donna.
E di qui, per la gioia del poeta e degli spettatori prende avvio la vicenda che tra menzognette, burle, finte e vere lacrime, travestimenti, finirà, come spesso in Rossini, nel migliore dei modi, con il trionfo dei sentimenti veri o… legalizzati.
Rossini si conferma, nonostante la giovane età e parallelamente al librettista Felice Romani, un fine conoscitore della psiche umana, sbozzando con abilità e sottolineando con la musica archetipi umani: arte che culminerà ne “Il barbiere di Siviglia”.
In genere i traditi sono coloro che amano davvero, che non riescono ad imporre i propri diritti ai capricciosi, che bramano il ritorno degli infedeli e dei superficiali (e questo racconto non fa eccezione), mentre coloro che manifestano l’ “amore” con gesti e parole clamorose sono spesso temperamenti leggeri, pronti al tradimento come intervallo o relazione collaterale, desiderosi di provare al mondo la propria capacità seduttiva.
Pronti anche a pentirsi, però, quando il tradito manifesta la decisione di troncare di netto, specie se vanno perduti sostanziosi vantaggi materiali legati ai sacrivincoli.
Interessante anche la figura del poeta che afferma di cercare un canovaccio non usuale, ma alla fine si accoccola su situazioni antiche, purchè intriganti e variegate: alla fine si autoattribuisce pure il merito della riconciliazione dei coniugi!
Sceneggiatura rapida nel cambio delle scene e colorata e convincente (anche in mancanza del gioco delle luci a seguito dello sciopero della sigla CIGL): come osservato da Giorgio Strehler, di fronte alle scenografie di Luzzati si ha sempre l’impressione di finire, mani, piedi e pensieri, dentro un sogno.
Fantastici, sempre nella tradizione Luzzati nonchè napoletana, I Pulcinella ballerini e servitori, con i loro
spassosi interventi in scena, che sottolineano ed assecondano gli stati d’animo dei “padroni”.
I giovani talenti interpreti, i solisti dell’Accademia di alto perfezionamento del Teatro Carlo Felice, diretta dal tenore Meli, hanno sostenuto le parti in maniera convincente e si sono dimostrati già in grado di modulare e dosare sapientemente le proprie emissioni di voce, anche nei punti più difficili dell’opera di un autore non facile come Rossini.
Rimane da ricordare l’appassionata direzione del maestro Quatrini che così manifesta le proprie intenzioni” …dare alla narrazione un ritmo serrato, portando i sillabati rossiniani quasi al parossismo e provando a unire i numeri chiusi ai recitativi, laddove possibile, senza soluzione di continuità”.
Così si può cogliere in pieno la bellezza della musica: d’altra parte, come già affermava Platone, la musica è per l’anima ciò che la ginnastica è per il corpo”. ELISA PRATO