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Carlo Felice, in corso Madama Butterfly: la farfalla dalle ali spezzate

Carlo Felice, in corso Madama Butterfly: la farfalla dalle ali spezzate
Carlo Felice, in corso Madama Butterfly: la farfalla dalle ali spezzate

Fin dalla prima  del 19  gennaio al Carlo Felice, che ha aperto l’anno delle celebrazioni del centenario della morte di Giacomo Puccini, il personaggio della geisha tradita dal cinico ufficiale americano ha colpito ancora.

La vicenda si svolge al principio del secolo a Nagasaki. Il tenente Pinkerton della Marina americana aspetta, con il  console americano Sharpless, la giovanissima sposa orientale, conosciuta mediante un sensale: la fanciulla è figlia di un nobile che si è ucciso per ordine dell’imperatore,  povera e praticamente sola al mondo.

Il promesso sposo non fa mistero delle proprie convinzioni riguardo ai matrimoni  a tempo determinato: in attesa dell’unico legame che ritiene valido, quello con una donna americana, invita il console a brindare non al presente connubio, ma a quello futuro, ed intanto gli partecipa il proprio scanzonato pensiero sui legami che nel frattempo intende contrarre. “Lo yankee vagabondo affonda l’ancora alla ventura… la vita e non appaga se non fa suo tesor i fiori di ogni plaga…”.

Così si delinea la personalità superficiale ed egoista dell’ufficiale, figura d’uomo spesso presente nei libretti d’opera.

Il console tenta invano di far ragionare il militare, opponendo alla sua superficialità la propria umanità: “E’ un facile vangelo che fa la vita vaga ma che intristisce il cor”.

Proprio al console Sharpless toccherà di recare alla sposa, poi abbandonata per tre anni e sempre ingenuamente speranzosa di rivedere lo sposo (nella stagione del pettirosso….), la notizia del ritorno dello stesso, ma in compagnia di una nuova moglie.

Durante l’assenza del marito Butterfly ha ostinatamente perseguito la volontà di entrare nei panni di una donna occidentale, a cominciare dal vestiario e dall’arredamento della casa; ha perfino cercato di convertirsi alla religione dell’ (ex) marito, alienandosi così la benevolenza dello zio Bonzo.

Nello svolgimento del testo dell’opera la giovane rivela una struttura psicologica sana e la consapevolezza dei propri ipotetici diritti di moglie, purtroppo non ha i mezzi materiali e manca di sufficiente autostima per farli valere.

Ormai sola e sempre povera, con la sola compagnia della fedele ancella Suzuki, costretta a cedere il figlioletto al marito, opta per la morte con onore, uccidendosi con lo stesso pugnale adoperato dal padre, con indosso la veste da sposa orientale che ha ripreso, dopo aver abbandonato gli abiti occidentali.

Uno spettacolo ben riuscito: merito anzitutto del direttore  Fabio Luisi, che ha mantenuto un perfetto equilibrio fra musica e evidenziazione della dinamica dell’azione.

Infatti, secondo gli intendimenti dello stesso Puccini, ogni sonorità corrisponde ad un gesto teatrale e lo sottolinea. Momenti di forte emozione ed impatto sul pubblico: lo splendido ingresso di Butterfly, il confronto passionale e di diversità di culture e di temperamenti in crescendo del primo atto, il colpo di cannone che annuncia l’arrivo in porto di Pinkerton, mentre l’orchestra sommessamente riprende le note di “un bel di vedremo” e pare  entrare nell’intimo  di lei che spera ma che già  sa…

Altre scene incantevoli sono quelle dei giochi tranquilli del bimbo con i petali dei ciliegi in fiore, in contrasto con la trepidazione speranzosa dell’attesa della protagonista.

Splendido l’allestimento, acquistato dal Teatro alla Scala e fortunatamente sottratto alla rottamazione: la scenografia di  Alvis Hermanis,  su due piani, ha l’effetto leggero, romantico della carta di riso.

Altrettanto delicata la coreografia del Balletto Fondazione formazione danza e spettacolo “For dance” Ets.  La gestualità orientale caricata convince ed è in perfetto contrasto con la mobilità della casa giapponese pur nell’arredamento occidentale.

Gli interpreti, di buone doti vocali, sono perfettamente calati nei personaggi, a cominciare da  Jennifer Rowley nei panni di Butterfly. Matteo Lippi è un Pinkerton convincente.

Alessandro Luongo è un Sharpless equilibrato e sensato, Caterina Piva all’altezza delle aspettative nei panni sommessi di Suzuki.

Un plauso al tranquillo bimbo, interprete del figlioletto di Butterfly, che ha tenuto benissimo e a lungo la scena, indisturbato dai toni di voce elevati della soprano…

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Quando si imbattè nella piccola geisha Cio-cio-san, Puccini ( Lucca ,1858), aveva già scritto cinque opere.

Dopo Tosca (1900) il Nostro cercava invano un buon libretto. “ Mi annoio.., i migliori anni, gli ultimi della gioventù passano, un vero peccato”, così scriveva da Torre del Lago, località da lui amata ed eletta a residenza. Nella scelta dei libretti Puccini era molto esigente: “ se non mi tocca il cuore non c’è niente da fare”.

Una sera del luglio 1900, mentre Puccini era a Londra per la prima della “Tosca” , andò a vedere al Duke of York’s Theatre, nonostante non comprendesse l’inglese, Madama Butterfly di David Belasco, tratta da una novella orientale di Long. Fu un colpo di fulmine artistico tra l’inquieto autore e il personaggio della dolce e sprovveduta geisha.

La stesura dell’opera avvenne a Torre del Lago, tra difficoltà e ripensamenti, funestati  anche da un incidente d’auto, che costrinse il musicista ad una lunga immobilità, e da amarezze nella vita familiare, che si portò dietro per la vita.

Ma la prima alla Scala, nel febbraio 1904, fu un disastro fin dal primo atto e si concluse in una grande gazzarra, forse per “colpa” della protagonista, il soprano Rosina Storchio, cara all’autore ma meno al pubblico: quando nel secondo atto un colpo di vento gonfiò il suo kimono e il pubblico le indirizzò pesanti allusioni, la cantante scoppiò in lacrime. Ma Giovanni Pascoli fu buon profeta e scrisse all’Autore ” la farfalla volerà”.

Puccini non si arrese e nel maggio 1905, l’opera, rielaborata e rappresentata al Teatro Grande di Brescia, fu un trionfo. “Piccola creatura mia” scriveva l’autore,” io amo le anime che piangono senza urlare e soffrono con amarezza tutta intima.”

La predilezione dell’autore per questa sua creatura era tale che battezzò col nome di Cio-cio-san la sua nave, che solcava le acque del lago di Massaciuccoli e del mare di Viareggio.

Questa tipologia di donna era rimasta talmente impressa nell’intimo del musicista che, anni dopo, stava dando forma ad una simile figura femminile, Liù.

Purtroppo “Turandot” rimase incompiuta in quanto il Maestro morì a Bruxelles, dove stava curando un tumore alla gola, nel 1924. ELISA PRATO