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Carlo Felice, Lucia di Lammermoor: menti antiche in abiti moderni

Carlo Felice, Lucia di Lammermoor: menti antiche in abiti moderni
Una scena della Lucia di Lammermoor

In corso al Carlo Felice il dramma più rappresentato di Gaetano Donizetti, la Lucia di Lammermoor. L’ambientazione proposta dal teatro è quella di una scena quasi costantemente cupa, essenziale, che, con un fondo aperto propone momenti verdi o marini.

Il dramma di Lucia si svolge e si compie nel castello di Ravenswood  alla fine del secolo sedicesimo. La trama è abbastanza semplice: la famiglia di Enrico  Ashton ha spodestato la stirpe di Edgardo Ravenswood. Enrico vuole un matrimonio politico per la sorella Lucia e si assicura la complicità del precettore Raimondo e del capo degli armigeri Normanno. Lucia però è innamorata di Edgardo, che la raggiunge per chiederle di sposarlo e suggellare la pace con la sua famiglia. Lucia vuole aspettare perchè sa che il fratello è ancora infiammato di odio e nel frattempo scambia un patto d’amore e di fedeltà con l’innamorato. Ma Enrico le comunica  le nozze combinate con  lord Arturo Bucklaw e le mostra una falsa lettera che conferma la voce di un matrimonio di Edgardo. Poco prima della cerimonia  arriva Edgardo, che, ritenendo che Lucia, firmando l’atto di matrimonio, l’abbia tradito, le restituisce il pegno d’amore. Ma  poche ore dopo il matrimonio, Lucia , in delirio,  uccide lo sposo Arturo e, dopo una memorabile scena che conferma  la sua alterazione mentale, poco dopo muore. Edgardo, appresa la notizia, si suicida. 

La scelta del regista Lorenzo Mariani è stata quella, certamente azzardata ma significativa, di spostare  ambiente e costumi in un’epoca moderna: abbigliamenti sobri e novecenteschi sia negli uomini che nelle donne, un dramma antico, ma mai del tutto desueto, che tocca una fanciulla che fuma come le donne attuali ma che è impedita – o incapace ? – di governare il proprio destino,  proprio come qualche donna moderna.

Nel primo atto un  cervo morto disteso su un lungo tavolo  anticipa la drammaticità simbolica delle scene seguenti, nelle quali la stessa posizione  dell’ animale assumerà  Lucia e poi lo sfortunato  Arturo, promesso sposo giustiziato.    

La giovane e fragile Lucia vive in  un mondo che non le appartiene, un mondo ristretto,  governato dalle leggi degli uomini di casa, uomini d’armi e armati non solo di lame, con in testa ferme opinioni  su come si modellano  i destini  delle donne di casa.

Lucia  brama il sole, il calore della luce, la gioia di un amore nato e cresciuto già con un destino  simbolicamente infausto: ha conosciuto Edgardo quando il giovane l’ha salvata  dalla furia di un toro  nei pressi della  tomba della madre. 

Lucia sa solo sognare e sperare, non sa opporsi, non sa combattere: sa vivere in un guscio d’uovo ma non  rompere il guscio.  Davanti alle pretese del fratello il suo primo pensiero  non è quello di ribellarsi ma quello di morire, e già manifesta i primi sintomi di un disturbo mentale;  è una donna dalla psicologia fragile, poco coltivata, nessuno e tanto meno le  donne di casa le hanno  mai detto che si può provare ad infrangere il destino non con i sospiri ma con le azioni. La giovane crede di non avere i mezzi per  opporsi alla triste realtà di sposare un uomo che non ama, pertanto si rifugia  in una falsa realtà  da lei stessa creata, nella pazzia, che non le permette neppure di comprendere  la portata del reato che compirà.

Il fratello Enrico è un rozzo e determinato egoista, il dolore ed i sentimenti della sorella  sono cose da poco, da spazzare via in un baleno: “…tuo fratello sono ancor, spenta è l’ira nel mio petto, spegni tu l’insano amor.”

Edgardo, lo sfortunato amato, si pone come un personaggio diverso da quelli maschili che siamo abituati ad incontrare nel melodramma, è anch’egli tenace e sincero nell’affetto ma fragile, anche se alieno dalla superficialità e dall’incoerenza,  ma ciò  non basta a spostare i macigni del destino: alla fine renderà comunque impossibile la separazione dall’amata  attraverso un  pugnale.

Il dramma ripropone l’espediente, molto usato nel teatro drammatico/romantico, dell’inganno attraverso una falsa missiva e ha momenti molto efficaci e d’impatto, come il commovente scambio dei  medaglioni da parte dei due innamorati. Di grande efficacia anche l’immenso pilone di cemento in scena, che accompagna la notizia del matrimonio comunicata da Enrico alla sorella, quasi a suggellare la graniticità e l’ineluttabilità della sorte di quest’ultima. 

La rappresentazione del 17 maggio, con il coro al completo ed un cast eccezionale, vero punto di forza della serata, ha offerto una bella prova  di maturità artistica da parte di  Franco Vassallo nei panni di Enrico, padrone dello spazio scenico per qualità vocali e presenza.

Intensa la Lucia interpretata da Nina Minasyan, anche nella celebre scena della pazzia, espressa da splendidi vocalizzi accompagnati dalla glassarmonica (la scena, resa immortale da Maria Callas è una delle più attese ed amate dal pubblico). Ivan Ayòn Rivas nella parte di Edgardo è stato convincente almeno quanto Bocelli nell’edizione 2018. Bene anche il resto del cast,  Luca Tittolo nella parte di Raimondo, Paolo Antognetti nel ruolo di Arturo. Impeccabile la direzione del maestro Francesco Ivan Ciampa, che interpreta magistralmente una musica dai sapori ancora rossiniani.  

Lunghi e meritati  gli applausi del pubblico anche a scena aperta. Da non perdere.

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Gaetano Donizetti (1797- 1848 ) nasce a Bergamo da famiglia poverissima e carica di figli. Forse a causa di questa tensione verso il superamento della miseria è dovuta la sua copiosa  produzione artistica: tra gli amici era noto col soprannome di “Dozzinetti”.

L’autore scrisse ben 70 opere, per lo più drammatiche, delle quali  “ Lucia di Lammermoor”, composta  in trentasei giorni e considerata il suo capolavoro, è la 48esima e fu rappresentata  la prima volta nel settembre 1935 con  successo al  Teatro San Carlo di Napoli.

L’attenzione al dettaglio e all’innovazione si manifesta in Donizetti anche nel proporre gli strumenti: per la scena della  pazzia di Lucia egli prevede  l’ uso  della glassarmonica, o armonica a bicchieri, strumento affascinante da suonarsi con le mani umide, che, secondo alcuni critici, è  perfetto per  rappresentare, grazie al timbro tremolante, le angosce di una donna vulnerabile che va verso la pazzia. (Purtroppo, allora,il valido solista di quello strumento, Domenico Pezzi, venne a dissidio con il Teatro San Carlo, per cui il Nostro fu costretto a sostituire la partitura per glassarmonica adattandola al flauto).

Nonostante la copiosa produzione l’autore era  comunque attento alla qualità ed interveniva sui libretti in maniera  decisa ed equilibrata : è nota la sua  lunga  collaborazione con il librettista napoletano Salvatore Cammarano, discendente da una famiglia di artisti a vario titolo.

Anche negli anni 1836 e 1837, funestati da ben cinque lutti famigliari tra cui due figlie e la moglie, Donizetti, pur affrontando momenti di buio sconforto, non smise di lavorare,  indifferentemente ad opere buffe e a drammi romantici.

Il Nostro debuttò con opere influenzate dallo stile rossiniano imperante, ma  già   personalizzate con l’attenzione alla psicologia dei personaggi e il maggiore impegno drammatico.  Durante il  soggiorno a Napoli ( dal 1822 al 1838 fu direttore artistico del San Carlo) scoprì l’ operistica napoletana, che rinnovò in senso romantico/drammatico  e  lirico, staccandosi in parte da Rossini. Le opere della  maturità,  tra cui Lucia di Lammermoor,  Don Pasquale,  sono  espressioni di equilibrata perfezione, depurate  da  provvisorietà  ed incertezze ancora presenti nella copiosa  produzione precedente, alla quale era costretto dalle  incerte condizioni della vita di spettacolo del tempo (nonché da quelle economiche della sua).

L’opera ritorna  al Carlo Felice venerdi  22 e domenica 24 novembre. ELISA PRATO