La prima di Manon Lescaut del 25 marzo al Teatro Carlo Felice rischia di essere ricordata solo per l’incidente vocale di cui è stato protagonista il tenore Alvarez. Peccato, perché si tratta di uno spettacolo ben ambientato, ben condotto e benissimo interpretato. Ma di questo parleremo in seguito.
Manon è il primo grande successo di un Puccini trentacinquenne, dopo l’esordio favorevole de “Le Villi” al Teatro Del Verme di Milano del 1884 e quello meno favorevole di “Edgard” alla Scala del 1889.
La prima Manon al Teatro Regio di Torino del 1893, con il soprano Cesira Ferragni, fu accolta da interminabili ovazioni e segnò l’inizio della fortuna artistica ma anche economica del compositore (gli fruttò una residenza in riva al lago di Massaciuccoli e un “bicicletto”, specie di bici con posto laterale per accompagnatore).
Il libretto fu sottoposto a numerose revisioni e in un certo modo ne risente: difficile immaginare che una fanciulla povera, destinata al convento dalla famiglia, venga poi pilotata quasi subito, con la complicità di un fratello avido, tra le braccia o meglio nel letto di un vecchio ricco.
La trama è abbastanza lineare: lo studente Renato Des Grieux, apparentemente disincantato nei confronti del sentimento d’amore, si innamora di colpo, ricambiato, della fanciulla Manon, diretta a Parigi per iniziare una non accetta vita monastica.
I due giovani vengono a sapere che il banchiere Geronte di Ravoir ha progettato di rapire la ragazza e fuggono insieme a Parigi.
Come il di lei fratello aveva previsto, Manon, tentata dalle ricchezze del banchiere, lascia il giovane per vivere nel palazzo di Ravoir una vita di lussi e frivolezze.
Ma Des Grieux la raggiunge nell’attuale dimora e la convince a fuggire con lui.
Il banchiere li sorprende e finge nonchalance, ma denuncia immediatamente la giovane come prostituta e la fa imprigionare: il destino che aspetta Manon è di essere imbarcata per l’America con altre cortigiane.
Vani i tentativi dell’innamorato di salvarla: Renato decide di imbarcarsi con lei come mozzo e di dividerne il destino, sperando in una nuova esistenza. Speranza vana: in una landa desolata e arroventata, febbricitante ed assetata, Manon lascia la vita, implorando il perdono e confermando il suo amore ad un disperato Des Grieux.
Nel nucleo di quest’opera è già presente il modo di pensare “avanzato” di Puccini verso i costumi della società e della morale che ancora gravava sulle donne, probabilmente derivante da episodi dalla sua vita privata (il suicidio di una innocente domestica a causa della gelosia della moglie), che avrà la sua completezza ne “La Rondine”, opera datata 1917: anche in Manon vi è l’anelito verso l’amore ma questo viene vissuto appannato, deviato dall’interesse e dallo stordimento dato da una vita agiata quanto inutile.
Puccini si avvia comunque a segnare la fine del melodramma romantico, nel quale per la donna che sbaglia non vi è redenzione, o muore pietosamente nel corpo o muore nell’anima: Manon muore ancora nel corpo chiedendo perdono per l’amore malamente vissuto, in una landa desolata come la sua interiorità; piu tardi Magda la Rondine morirà nell’animo, tornando dal suo ricco protettore, incapace di vivere un amore privo di agiatezza economica e sentendosene comunque indegna.
Drammi simili, dove nella psicologia si insinua la psicanalisi.
La landa desolata, la stazione degli emigranti come la vuole Livermore, sono sempre il simbolo di un vuoto morale interiore che alla fine può distruggere la vita, perchè specie in materia di sentimenti, nulla passa sull’anima come acqua fresca, ma prima o dopo si ha un prezzo da pagare.
Purtuttavia Puccini non dà mai giudizi morali sulle donne che crea, anche se la sua preferita rimane la piccola Ciociosan di Butterfly.
Di questo allestimento del Carlo Felice si apprezzano la scenografia inserita nel tempo e i bei costumi, gli allegri assembramenti allineati al gusto pucciniano, nonchè il “gioco” teatrale di un Des Grieux ottantenne che ritorna ad Ellis Island non più attiva per ricordare il passato, ed apre e chiude una rappresentazione in cui, quale convitato osservante, è costantemente presente.
L’azione ha grandi momenti di intensità drammatica, specie nei dialoghi tra i due innamorati ritrovati, magnificamente resa da un cast eccezionale in cui spicca Maria Josè Siri e da un’orchestra in perfetta forma.
Senza indulgere ad ipotesi sull’abbandono della scena del tenore Alvarez, è il momento di ammirare la professionalità di un artista come Riccardo Massi, che, chiamato nel giro di un quarto d’ora a scaldare la voce per cantare in sostituzione una intera opera, ha retto in maniera eccelsa la propria parte, strappando applausi a scena aperta e un’incontenibile ovazione finale da parte del pubblico entusiasta. ELISA PRATO
Carlo Felice: Manon, cambiamenti nel cast
Il Teatro Carlo Felice comunica le seguenti variazioni nel cast di Manon Lescaut
Cast iniziale
Manon Lescaut Maria Josè Siri/Monica Zanettin (26/3 – 2/4)
Renato Des Grieux Marcelo Álvarez/Riccardo Massi (27/3 – 3/4)
Francesco Pio Galasso (26/3 – 2/4)
Lescaut Stefano Antonucci/Enrico Marabelli (26/3 – 2/4)
Geronte di Ravoir Matteo Peirone
Edmondo Giuseppe Infantino
L’oste Claudio Ottino
Il maestro di ballo Didier Pieri
Il musico Sandra Pastrana
Il sergente degli arcieri Matteo Armanino
Il lampionaio Didier Pieri
Un Comandante di marina Loris Purpura
Cast attuale
Manon Lescaut Maria Josè Siri/Monica Zanettin (26/3 – 2/4)
Renato Des Grieux Marcelo Álvarez/Riccardo Massi (27/3 – 3/4)/Francesco Pio Galasso (26/3 – 2/4)
Lescaut Massimo Cavalletti/Enrico Marabelli (26/3 – 2/4)
Geronte di Ravoir Matteo Peirone
Edmondo Giuseppe Infantino
L’oste Claudio Ottino
Il maestro di ballo Francesco Pittari / Didier Pieri (1-2-3/4)
Il musico Gaia Petrone / Sandra Pastrana (1-2-3/4)
Il sergente degli arcieri Matteo Armanino
Il lampionaio Francesco Pittari / Didier Pieri (1-2-3/4)
Un Comandante di marina Loris Purpura
Renato Des Grieux anziano Roberto Alinghieri
Un parrucchiere Simone Tudda