In corso al Teatro Carlo Felice, fino a domenica 5 febbraio, il melodramma in tre atti “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi.
L’ opera, una sorta di fusione tra la grand-opéra e la tradizione italiana, può considerarsi uno spartiacque tra la prima e l’ultima produzione del Maestro: quasi una sorta di esperimento che si distacca dalle precedenti e anticipa le produzioni degli anni a venire. Una tappa della continua ricerca di rinnovamento di Verdi, il perfezionamento di quella che è la sua caratteristica costante, l’aderenza tra il linguaggio parlato e il cantato, l’identità della parola con il senso della musica.
Una musica che qualcuno può aver definito “fanfara”, ma che è immediatamente riconoscibile e che comunica vigore e forti sentimenti: espressione di un’epoca che gridava la speranza di un’Italia unita.
Da buon romantico Verdi ama la storia e spesso mette sul palco personaggi storici.
L’opera ebbe problemi con la censura: in primis voleva essere il rifacimento di un libretto del 1833, “Gustave III ou Le bal masquè, che metteva in scena l’assassinio di un re di Svezia avvenuto durante un ballo mascherato.
La censura di Napoli bocciò il regicidio e Verdi rivolse l’attenzione a Roma, dove l’opera fu rappresentata il 17 febbraio 1859 al teatro Apollo, ma con l’azione spostata dalla Svezia al Nord America e la datazione dal Settecento al Seicento: il re fu trasformato in Riccardo, conte di Warwick e governatore del Massachussetts, comunque rimase il personaggio amabile, brillante, cavalleresco che l’Autore desiderava.
La vicenda inizia a Boston, nel palazzo del governatore Riccardo – contro il quale si sta preparando una congiura – che sta controllando la lista degli invitati all’imminente ballo in maschera.
Riccardo ama segretamente Amelia, moglie di Renato, suo segretario e amico, quest’ultimo lo mette in guardia sia sulle trame verso di lui che dalla maga Ulrica.
Riccardo, incuriosito, decide di conoscere la maga, si traveste ed assiste ad un suo consulto nei confronti di un marinaio, rivelatosi esatto. Intanto giunge un servo di Amelia che cerca un incontro discreto per la padrona.
Ulrica fa allontanare tutti per ricevere la donna, ma Riccardo si nasconde e scopre che anche Amelia lo ama e cerca un filtro per dimenticarlo.
Una volta allontanata Amelia, Ulrica rivela a Riccardo che presto morirà per mano di un amico, quello che per primo gli stringerà la mano. Sopraggiunge Renato che, ignaro, stringe la mano di Riccardo, il quale, divertito dalla profezia, non crede che possa avverarsi.
Nella notte, Riccardo e Amelia si incontrano in un luogo destinato alle esecuzioni e confessano il reciproco sentimento. Arriva Renato, che non riconosce Amelia velata, e ripete a Riccardo di stare in guardia e fuggire poichè i congiurati stanno per arrivare.
Quando questi arrivano trovano Renato invece di Riccardo e pretendono di scoprire l’identità della dama velata: per evitare guai Amelia toglie il velo e Renato, credendosi tradito, vorrebbe ucciderla, ma quando lei chiede di poter riabbracciare il figlio, decide che il vero colpevole è Riccardo e si unisce ai congiurati.
L’attentato dovrebbe compiersi al ballo, durante il quale Riccardo, che, per non cedere al sentimento ha deciso di reinviare Amelia e il marito in Inghilterra, riceve ulteriori avvertimenti sul pericolo incombente.
Mentre i due innamorati si scambiano un abbraccio d’addio sopraggiunge Renato e pugnala Riccardo, che, morendo, conferma l’innocenza di Amelia e perdona l’amico e i congiurati.
Verdi è abilissimo nel rappresentare la commedia insieme al dramma e a mantenere i due livelli paralleli fino alla fine. I congiurati, che trovano Renato invece di Riccardo, ne ridono tra di loro e, più che ad uccidere, pensano a cosa avrebbe detto la gente sul “caso strano”, a scoprire l’ignota bellezza che si cela sotto il velo.
Bello e toccante, anche musicalmente, l’incontro tra Riccardo ed Amelia, che sembra rivelare il sostanziale affetto di Verdi verso la personalità integra dei protagonisti, al di là dei sentimenti che non sempre possono essere repressi ma solo controllati.
Riccardo, un razionalista che sorride incredulo alla rivelazione della sua prossima morte, ma che verso Amelia nutre un sentimento autentico e rispettoso. Amelia, una donna infelice che non ama il marito ma che rispetta, in una sorta di altalena psicologica tra l’amore e il dovere, il proprio ruolo: va dalla maga per strapparsi Riccardo dal cuore, poi esita a sopprimere quell’amore che dà comunque un senso alla sua esistenza, poichè, perduto anche il solo desiderio dell’amore, cosa resta ad un povero cuore?
Psicologia contrapposta a quella della crudeltà del marito, che scoperto il presunto tradimento, non esita a costringerla a tirare a sorte il nome di chi dovrà uccidere Riccardo.
E nel terzo atto, finalmente, ecco le suggestive scene del ballo, interrotte dalla melodrammatica coltellata di Renato a Riccardo.
Ma non immediatamente, l’orchestrina continua a suonare, come per dare il tempo alle persone di rendersi conto dell’accaduto, come succede nella realtà.
Un delitto politico si trasforma in un delitto passionale.
Bene l’orchestra diretta con passione dal maestro Donato Renzetti in piena forma, convincente la regia di Leo Nucci ripresa da Salvo Piro.
Le voci e la teatralità degli interpreti sono decisamente all’altezza dei ruoli, splendida Maria Teresa Leva nella parte di Amelia nonchè Ksenia Bomarsi nei panni del valletto Oscar, subdolo personaggio di spicco. Un appunto? Qualche scena un po’ troppo buia o lugubre, forse in tema con il periodo storico rappresentato.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 28 gennaio. ELISA PRATO