“A ciascun Governo, la sua emergenza. Sembra essere questa, ormai, la regola della politica italiana, da qualche tempo. Alluvioni, crollo di un ponte, per governi un po’ incolori, migranti, epidemie, guerre, per quelli a cui piace il gioco duro. Cosa c’era allora di meglio, per un Governo ‘dio-patria-famiglia’, della vecchia emergenza ‘rossa’, anarchico-insurrezionalista?
È bastato il caso Cospito, una vicenda penosa che si trascina ormai da mesi. Penosa, anzitutto, nei suoi aspetti giudiziari: perché ancora non si è ben capito cosa giustifichi l’applicazione del 41-bis, un regime pensato nella sua formulazione attuale per i capi mafiosi, a Cospito”.
Lo ha dichiarato oggi il prof. genovese Paolo Becchi, docente di Filosofia del Diritto all’Università di Genova, commentando sul quotidiano “Il Riformista” il caso dell’anarchico Alfredo Cospito, che il 7 maggio 2012 nel capoluogo ligure gambizzò l’amministratore di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi.
“Per i giudici – ha aggiunto il prof. Becchi – Cospito andrebbe tenuto in isolamento perché, comunicando con l’esterno, continuerebbe ad esercitare il suo ruolo di ‘leader’ nei gruppi anarchici che, per definizione, non hanno leader.
Per il ministro Nordio, poi, ‘l’ondata di violenza e di gesti vandalici e intimidatori sono […] la prova che il legame tra il detenuto e i suoi compagni esterni rimane, e tenderebbe a giustificare il mantenimento del 41bis’.
Manifestare contro il 41-bis costituisce la prova della necessità del suo mantenimento. La macchina dell’emergenza, a questo punto, si è messa in moto.
Sanremo a rischio di attentati. A Roma i palazzi dei ministeri difesi da esercito e polizia in attesa dell’imminente attacco degli anarco-insurrezionalisti pronti a seminare il caos.
Lo Stato adotta il pugno duro e la linea della ‘fermezza’: non si tratta, non si cede ai ricatti degli anarchici.
Cospito resta dov’è, o meglio al momento in ospedale, sperando così almeno non crepi o crepi all’ospedale. Aspettate qualche giorno, e tutti saranno convinti che in questo Paese esista un pericolo di terrorismo, di matrice anarchica, e che occorrano le maniere forti: più controlli, più polizia, niente proteste. Il terrore rosso è tornato.
Due riflessioni credo siano, a questo punto, d’obbligo.
La prima è che penso che difficilmente, fino a ieri, si sarebbe trovato qualcuno disposto a sostenere seriamente e pubblicamente che in Italia, oggi, esisterebbe una minaccia di terrorismo anarco-insurrezionalista. E questo dovrebbe dimostrare in modo chiaro come l’emergenza non è la causa, ma la conseguenza del fatto che essa venga dichiarata, percepita come tale, prodotta dalla stampa, dai media, dagli appelli del Governo, e così via.
È un vecchio trucco della politica: si dichiara che esiste un pericolo, anche quando non c’è, per poter mettere in atto una serie di meccanismi per prevenirlo e reprimerlo.
A quel punto questi stessi meccanismi favoriscono la possibilità che quel pericolo si concretizzi per davvero, che qualche attentato avvenga sul serio, qualche bomba venga fatta esplodere. Ed il fatto che si concretizzi giustificherà le misure repressive inizialmente adottate – ed anzi legittimerà ad adottarne di nuove, o intensificare la repressione.
Per quanto tutto questo dovrebbe, ormai, esser noto a tutti, evidentemente continua comunque a funzionare.
Vengo alla seconda considerazione: possibile che, in un tempo di ‘psico-politica’, in una società in cui il controllo, ormai, è assicurato in modo capillare dai mezzi invisibili del capitalismo digitale (flussi di dati costantemente prodotti da noi stessi in modo ‘volontario’, visibilità assoluta di ogni nostro spostamento, acquisto, comunicazione con gli altri), ancora si usino questi vecchi metodi da ‘generazione del manganello’?
Certo in molti esponenti di questo Governo è forte la nostalgia per i cari vecchi anni Settanta, alle vecchie adunate con bastoni e catene. Ma non credo basti a spiegare quel che accade.
La verità, forse, è che il vecchio ed il nuovo non sono mai in rapporto di successione l’uno con l’altro, ma sono tali proprio perché sempre coesistono, per lunghi periodi, e danno spesso luogo a forme ibride: bastone e web, smartphone e moschetto.
Ed è questa ibridazione che, oggi, sembra fare miracoli, tanto è divenuto facile far diventare reale un pericolo che non esiste, far precipitare un Paese in una emergenza vecchia di cinquant’anni, e far sì che tutto questo, in qualche modo, accada.
Per questo il caso Cospito, che sembra richiamare strani fantasmi del passato, in realtà è anche di una attualità folgorante”.