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Caso Toti, pochi elementi: pm pensano anche al patteggiamento

Governatore ligure Giovanni Toti (foto di repertorio fb)

Oltre a quella di un giudizio immediato, c’è anche la proposta di patteggiamento tra le ipotesi al vaglio del pool di magistrati che si occupano della maxi inchiesta politico-giudiziaria che martedì 7 maggio ha portato agli arresti domiciliari per corruzione elettorale il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti.

I pubblici ministeri Federico Manotti e Luca Monteverde ne hanno discusso in questi giorni con l’aggiunto Vittorio Ranieri Miniati e il procuratore capo Nicola Piacente.

Le eventuali proposte di patteggiamento arriverebbero alla chiusura delle indagini, partite nel 2020, e dunque non prima del prossimo autunno.

In oltre tre anni di intercettazioni gli inquirenti non hanno trovato una mazzetta, una bustarella o una valigetta piena di soldi intascati da Toti. Inoltre, in tutto questo tempo i pm non hanno trovato né contestato conti correnti in Italia e all’estero del governatore ligure.

La presunta “tangente” che ha portato ai suoi arresti domiciliari sarebbe quella di un finanziamento elettorale da 74mila euro, che secondo il teorema accusatorio sarebbero stati ricevuti via bonifico da Aldo Spinelli per un “interessamento” sul rinnovo della concessione del Terminal Rinfuse avvenuto nel 2021. Peraltro una cifra ridicola di fronte a un affare, come tutti potevano ben sapere, di decine di milioni di euro.

Non è tutto. Perché i finanziamenti elettorali, gli unici ricevuti da Toti, risultano spesi in modo trasparente e del tutto tracciato unicamente per le varie attività politiche. Mai un euro, a quanto risulta, è stato speso al di fuori di scopi politico-elettorali.

In sostanza, la “corruzione” contestata a Toti si riferisce al “principio di corrispettività”. Ossia hai ricevuto i finanziamenti elettorali e ti sei interessato di pratiche e tematiche di chi ha elargito tali fondi, che altrimenti non avrebbe ottenuto il tuo “interessamento” politico-amministrativo.

Un teorema accusatorio respinto, anche in questo caso, dal governatore ligure che ha spiegato in quasi 9 ore di interrogatorio di avere agito sempre nell’interesse pubblico.

Come pure nel caso dello sbarco a Genova e in Liguria di Esselunga, contro lo strapotere delle Coop, per decenni lasciata al di fuori della nostra regione dalle amministrazioni rosse. Un successo politico e un sogno del mitico Bernardo Caprotti, autore di Falce e Carrello, che si è avverato grazie al centrodestra e a Toti nell’indubitabile esclusivo interesse dei genovesi e dei liguri.

 

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