“C’è ancora domani”, lirica riflessione sulla condizione delle Donne di Ieri, colpisce al cuore sin dal primo frame.
Opera prima della nostrana attrice Paola Cortellesi, è una pellicola ottima, sia dal punto di vista stilistico per la scelta del “bianco e nero”, sia per quanto concerne la trama e lo sviluppo dei personaggi che popolano la storia. Ottima la scelta degli attori principali e secondari e delle figurazioni, i quali incarnano tutti perfettamente lo spirito dell’epoca.
Ricordiamo che il film è ambientato a Roma, zona Testaccio, nell’immediato dopoguerra, in un arco di tempo di poco antecedente alle giornate del “Primo Voto” per le Donne nel nostro paese: il 2 e 3 giugno 1946, rammentando che l’affluenza al voto da parte delle Donne fu dell’89%.
“C’è ancora domani” sin dal primo frame trasuda fedele il costante terrore generato dalla violenza domestica, quello che oggi il nostro Codice penale riconosce come reato di maltrattamenti in famiglia, 572 c.p. ed, in effetti, il film si apre con una scena in cui i due consorti protagonisti, sono ancora a letto a dormire e lui, senza motivo, schiaffeggia la moglie. E questo costituisce solo l’incipit di una serie di percosse per quelli che identificheremmo come “futili motivi”.
C’è da dire che la violenza, per una scelta di regia molto garbata, non è mai descritta direttamente se non in una sequenza in cui è metaforicamente rappresentata attraverso un ballo. In effetti in ogni occasione si nota Ivano, interpretato da uno strepitoso Valerio Mastandrea, preparare la “cintura” per picchiare la moglie, chiudere le finestre che affacciano sul cortile ed invitare tacitamente i tre figli a chiudersi nell’altra stanza. Delia, interpretata dalla medesima regista Paola Cortellesi, in silenzio subisce, sminuendo davanti agli occhi della figlia, il suo immenso dolore. Visceralmente indissolubile il legame con la figlia.
E la coprotagonista è proprio la figlia ormai adulta Marcella, che ha le fattezze dell’attrice Romana Maggiora Vergano che in questo film si rivela particolarmente intensa. Le offriamo i nostri complimenti per la sua interpretazione per nulla banale.
Marcella, a differenza dei due fratelli minori, non ha avuto accesso alla Scuola Media, in quanto “Donna”, sicché non ritenuta idonea dal padre, che ne riscuote lo stipendio come lavorante in una stireria. Marcella, dal canto suo, cerca di riscattarsi attraverso il fidanzamento con Giulio, interpretato da Francesco Centorame.
Tuttavia, poco dopo un fulmineo roseo periodo, l’ombra d’un pesante maschilismo s’addensa sul loro rapporto. Delia ascolterà una conversazione dei giovani fidanzati, decidendo d’escogitare un piano “di liberazione” dal futuro matrimonio della figlia per la quale stravede e per la quale desidera un destino diverso. Assisteremo ad un peculiare “coup de scéne”.
Nel mentre Delia s’affeccenda affaticandosi in mille umili lavori, con il cui guadagno sogna di cambiare ancora la propria vita. Per un istante progetta una fuga con quello che era il suo grande amore di gioventù. Non vi riveliamo se ci riesca o meno, ma quello che vogliamo rimarcare è il coraggio d’una eroina silenziosa, del ceto medio-basso, lontana dal clamore della Rivoluzione ma che, come molte altre Donne, nostre nonne o bisnonne, ha contribuito al cambiamento della storia dell’Italia, versando lacrime anche per noi.
Nonostante il diniego del marito, con una scusa uscirà di casa all’alba per recarsi alle urne, contribuendo al cambiamento del nostro paese Italia. Il marito la inseguirà furibondo, ma stavolta nulla potrà contro di lei, al centro di una folla di donne votanti.
Le scene finale di “C’è ancora domani” sono particolarmente ricche di pathos, del pathos offerto dalla speranza di una società migliore per cui le nostre antenate hanno lottato con sudore e sangue, cui dobbiamo essere eternamente grate.
Certo, se analizziamo i dati offerti dalle Forze dell’Ordine, che testimoniano in Italia un femminicidio ogni 72 ore, potremmo dichiarare a gran’voce che assistiamo ad una barbara involuzione della società civile.
Purtuttavia, come canta un verso della canzone (A Bocca Chiusa) di Daniele Silvestri con cui si chiude questo splendido film “Io canto pure a bocca chiusa”, noi Donne di oggi continueremo a batterci per i nostri Diritti, nel segno delle nostre nonne, affinché i loro sacrifici non siano vanificati e perché, le nostre figlie e nipoti, non debbano mai subire l’umiliazione più grande: quella della violenza e-non del reale amore-per mano di un uomo.
Grazie a Paola Cortellesi per questa pellicola magistrale che sì, fa versare tante lacrime d’indignazione e fiducia, perchè C’è ancora domani.
Romina De Simone