Centro Storico, c’è un’altra Storia da raccontare, tra le promesse del Piano e i fatti di un’operazione immobiliare
In merito alla recente variante al PUC relativa alla possibilità di avere residenza al piano terra per iniziative finalizzate a combattere il degrado nel Centro Storico (Ambito ACCS)” si vuole segnalare che questo fatto, con intenzioni all’apparenza migliorative (si riportano esperienze di altri comuni, quali?) può al contrario portare un depauperamento di quello che è ad oggi un valore che in poche altre zone della città si può ritrovare e sicuramente non con la densità e frequenza della città antica.
Genova ha una storia bellissima di grande ‘intelligenza urbanistica’ e mirabili capacità di governo del territorio. È risaputo quanto Genova sia città a più dimensioni che solo una lettura attenta alla «città materiale» è in grado di mettere in luce, a cominciare da quello straordinario esempio che è la ripa maris, costruita nel 1133, a cui seguì il molo, vere e proprie matrici dell’organizzazione dello spazio fisico, che è specchio dell’organizzazione sociale, dei suoi usi e delle sue funzioni. La ripa maris è il frutto di un vero e proprio progetto urbanistico, voluto dai Consoli della città, che decisero l’erezione di un porticato di dimensioni e materiali ben precisi davanti alle case esistenti e delle botteghe a piano terra. Ai proprietari delle case venne concesso di sovrapporsi ampliando l’abitazione (anche di un terzo del loro intero edificio), a patto però di costruire e mantenere pubblici gli spazi sottostanti destinati al commercio, a non chiedere nessun
compenso ai mercanti, a non occludere in alcun modo i fornici. La ripa fu quindi costruita con fondi privati, ma con finalità pubbliche. Il Comune ne ebbe la regia, i privati ci misero i fondi.
Questa distinzione tra gli spazi pubblici ai piani terra e privati ai piani superiori è la cellula primigenia, dna ancora riconoscibile del corpo urbano, memoria sociale e architettonica, segno di una volontà e di un impegno collettivo ad essere città, e quindi comunità. Basti pensare agli sviluppi estremi di questo modello, che arriva a replicarsi anche in presenza di spazi religiosi come San Pietro in Banchi, dove la chiesa si innalza (come già faceva la precedente piccola chiesa di San Pietro della Porta, all’incirca presso piazza cinque lampade) su un basamento di botteghe.
Si parla dunque della permeabilità tra i percorsi maggiori e minori e i piano terra adibiti ad attività commerciali, di ristoro, sociali, che arricchiscono il tessuto e la qualità “umana” della città antica. Questa permeabilità a livello di spazi pubblici prefigura anche una capacità di inclusione per gli stessi abitanti ed anche per chi si ritrova solamente a passarvi per lavoro, turismo e quant’altro.
Non può esser che con lo spettro del degrado si “sterilizzi” un tessuto vivo ed ancora ricettivo: le abitazioni al piano terra portano inevitabilmente ad una maggiore chiusura, le finestre devono mettere tende, scuri, cancellate e lo spazio diventa separato
dalla fruizione collettiva.
Con questo non si vuole fare un’apologia del degrado! Chi ha vissuto e vive nel C.S sa che il degrado manutentivo è il vero rischio e problema. Si sono visti cadere pezzi di cornicioni, pezzi di persiane, intonaco,… ma questo deve disgiungersi dall’alta qualità “urbana” che esso offre, agli abitanti, ai visitatori, ai frequentatori.
Bene le iniziative per togliere i cassonetti della spazzatura e creare locali appositi debitamente protetti con sistemi antintrusione, bene l’idea di creare delle “bici box” dove gli abitanti o anche solamente chi volesse affittare biciclette potrebbe trovare uno spazio a
piano terra adibito. Come sta avvenendo con il superbonus che finanzia ed agevola gli interventi migliorativi dal punto di vista energetico, così si dovrebbe fare per gli interventi manutentivi sui beni culturali edilizi, dove difficilmente un privato ha la capacità da solo di
sostenere interventi notevolmente onerosi (basti pensare i costi di una manutenzione di una facciata decorata).
Se le attività commerciali non riescono più a far fronte al costo degli affitti, occorre promuovere una politica che abbassi la tassazione sui locali stessi del centro storico, questo sarebbe sufficiente per evitare la dispersione di attività in sofferenza oggiancora più di un tempo.
Purtroppo le iniziative quali la variante al PUC, o l’idea di un diradamento (quale e in che modo?), o la trasformazione dell’Hennebique in albergo di lusso lasciano presagire una volontà di “bonificare”in maniera violenta , forse abbagliati da uno spettro di turismo luxury o altro, come se l’offerta turistica non avesse altresì bisogno di visioni genuine e sincere di vita vissuta, di cultura di storia e di modi di vivere diversi.