Non si spegne la risonanza dell’interesse suscitato dall’incontro di qualche giorno fa con Carlo Cottarelli a Palazzo Ducale. Tutti, ma proprio tutti, hanno voglia di parlarne: ha convinto il suo linguaggio semplice, di presa diretta sulle persone, ha colpito e stupito la sua disponibilità a supportare chi è al governo, chiunque esso sia, accettando con il sorriso aperto e leggermente ironico di cremonese (la città di Cremona riunisce l’essenza della laboriosità lombarda e il vigore espressivo della socialità emiliana) la parte che pare costretto a recitare, quella del saggio, del jolly supertecnico che si consulta nell’emergenza, si ossequia e poi si accantona con disinvoltura.
Nel novembre 2013 il governo Letta nomina Cottarelli “Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica”; nell’ottobre 2014 il governo Renzi lo designa (o rinvia) al Fondo Monetario internazionale, da dove proviene e lavora da più di un ventennio.
E il suo meticoloso lavoro di valutazione e taglio della spesa viene messo in un cassetto. Nel maggio scorso ritroviamo il Nostro nei panni di candidato premier per soli quattro giorni…
Lo stesso alto funzionario ricorda, senza inveire contro nessuno in particolare, le difficoltà nel rapportarsi con il mondo della burocrazia, una casta per nulla disposta a lasciarsi sfoltire, che non intende addivenire ad alcun cambiamento, contrastato con l’uso astuto e formale della normativa. Cottarelli ammette senza remore che in Italia vi sono eccellenti imprenditori e grandi lavoratori: il difetto sta nella scarsità di “capitale sociale”, inteso come la riluttanza a rispettare ed incrementare i buoni comportamenti nella comunità. L’italiano pensa che le regole siano troppe e pertanto siano fatte per essere evase o eluse: si pensi solo alla massiccia evasione fiscale del nostro Paese.
E con ciò entriamo nel vivo del pensiero del “grand commis”, come i francesi chiamano i funzionari di grandi capacità e prestigio, introducendo le linee fondamentali di quelli che a suo parere sono i sette peccati capitali dell’economia italiana.
Il primo peccato è la già ricordata evasione fiscale, misurata sull’evasione stimata dell’IVA al 26-27%: in confronto la Svezia evade nella misura dell’1%. Basterebbe ridurre evasione e spesa per la burocrazia di un ottavo per avere un debito pubblico inferiore alla Germania.
Per questo Cottarelli è contrario ai condoni e pensa che siano più produttivi gli accordi individuali con che è in difficoltà a pagare.
Il secondo peccato è la corruzione: in Italia è al sessantaduesimo posto nel 2016 sulla percezione della stessa, peggio dei principali paesi europei, mentre va un po’ meglio nell’esperienza della corruzione. Conseguentemente le opere pubbliche sono più care, gli appalti sono assegnati a chi corrompe di più, rifacendosi poi sulla qualità delle opere stesse. E spesso (questo è il pensiero di chi scrive) i posti del potere effettivo sono assegnati non ai più capaci ed onesti ma ai mister “sissignore”.
Il terzo peccato è la burocrazia. I tempi sono troppo lunghi ed insidiosi, anche solo per pagare le imposte; siamo al cinquantesimo posto nel mondo per qualità, mentre i primi sono ancora una volta i paesi nordici. Le imprese spendono trenta miliardi solo per compilare moduli, mentre trentacinque miliardi valgono le imposte pagate dalle stesse!
Il quarto peccato è la lentezza della giustizia, che impiega in media sette anni e mezzo per arrivare al terzo grado di giudizio. La Francia impiega tre anni e la Germania due. Una giustizia lenta non può chiamarsi giustizia: ben lo sanno i malfattori di professione, che alle rimostranze del danneggiato rispondono “Fatemi causa”.
Spesso (e questo è ancora il pensiero della scrivente ) ai giudici viene permesso di avere più incarichi, con conseguente ulteriore rallentamento dei procedimenti, senza contare che si dà troppo importanza alle questioni formali, che spesso influenzano pesantemente tempi e decisioni. Ed ancora influisce il fatto che i mediatori non hanno praticamente poteri effettivi di emettere sentenze.
Il quinto peccato è il crollo demografico: fino agli anni ’60 due figli e mezzo per donna, ridotto negli ultimi dieci anni a 1,34, meno di un figlio e mezzo per donna; sorprendentemente il maggior calo si registra al Sud.
Meno figli significa meno persone che lavorano, meno PIL, meno crescita, meno consumi. E’ cresciuto l’egoismo delle persone, forse, ma anche l’incertezza sulla continuità del lavoro e sulla tenuta della coppia.
Il sesto peccato è il divario tra Nord e Sud. Laddove al Sud c’è minor produttività e maggior spreco (differenza mai colmata dall’unità d’Italia, che pure, in termini di socialità e giustizia, ha avuto un costo piuttosto alto, soprattutto per il Sud).
Il settimo peccato è la difficoltà a convivere con l’euro. Qualcuno ha aspettato ed applaudito all’euro con entusiasmo, ma qualcosa è andato storto. Cerchiamo di capirne di più.
Negli anni precedenti all’euro il nostro Paese aveva un tasso di inflazione ed un costo del lavoro più alto di quelli tedeschi perchè ogni tanto svalutavamo la lira, per cui gli imprenditori potevano sostenere i costi di produzione. Con l’avvento dell’euro la svalutazione non è più ammessa. Per cui le esportazioni tedesche sono cresciute tantissimo, poco quelle italiane, con un divario di competitività anche di trenta punti percentuali (oggi diminuito perchè in Germania sono cresciuti i costi di produzione), in parte per colpa nostra, in parte della Germania.
Ma se si perde competitività anche gli investimenti crescono poco. Alcuni propongono di uscire dall’euro. Cottarelli non è favorevole a questa soluzione in quanto, per prima cosa, è molto costosa. Secondariamente essa comporterebbe una notevole svalutazione, accettabile se i salari rimangono fermi, ma se questi non aumentano calerebbe il potere d’acquisto. Inoltre: se si è indebitati in euro il debito è più elevato; se il debito viene convertito in lire svalutate chi ci perde è il creditore. Per il debito pubblico dello Stato vale lo stesso ragionamento. Per fermare la svalutazione dei risparmi abbisogna una stabilizzazione, cioè politiche più restrittive di quelle odierne. Uscendo dall’euro ci si troverebbe di fronte non ad una soluzione ma ad un periodo di pesante transizione.
La Germania sta in parte risolvendo il problema con la crescita già ricordata dei costi di produzione, pertanto con la riduzione del divario. Già Portogallo e Spagna hanno risolto, non l’Italia per i suoi sei ostinati peccati citati, che non paiono avviarsi ad una seria riduzione, basti pensare al problema paradossale della burocrazia anche solo nel costo dei moduli.
In altre interviste Cottarelli precisa che, dal punto di vista economico, si può vivere sia con una moneta propria, sia condivisa. Secondo lui lo sbaglio è pensare che l’Italia,fuori dall’euro, metterebbe il turbo nella crescita; sente spesso portare ad esempio il Giappone, che ha una moneta propria ed una grosso debito pubblico, ma è il paese che, in termini di reddito procapite, è cresciuto meno negli ultimi vent’anni insieme a Italia e Grecia. Pertanto il Nostro conferma il suo pensiero: i problemi si risolvono con meno tasse, sprechi, evasione fiscale, corruzione, lentezza della giustizia, burocrazia.
Elisa Prato