Genova lancia sulle sue piattaforme social e sul sito web nazionale, CulturaIdentità
Una serie di approfondimenti storico-culturali a cura dei propri soci per riscoprire le origini, storie, personalità storiche e artistiche, monumenti e tradizioni di Genova e della Liguria
e per trasmettere l’eredità culturale genovese dalle origini al Medioevo, al “Siglo de Oro” del ‘600 sino alla Genova della rivoluzione industriale. “Viste le difficoltà nel poter fare cultura ‘in presenza’, e auspicando di poter presto proporre ai genovesi delle iniziative in tale modalità, non possiamo però rinunciare alla nostra missione culturale, e siamo così felici di poter proporre a un pubblico locale e nazionale, anche grande il supporto del mensile CulturaIdentità, cartaceo e web, una rassegna di storie note e meno note su Genova, la sua storia e le storie delle sue genti, e le personalità eccezionali che l’hanno contrassegnata, come il navigatore e esploratore capitano Enrico Alberto d’Albertis, qui magistralmente tratteggiato dal nostro socio e direttore della rivista online StoriaVerità Alberto Rosselli (articolo liberamente riproducibile con citazione della fonte: CulturaIdentità Genova). Non mi resta che augurarvi buona lettura, e seguiteci sui nostri socialhttps://www.facebook.com/CulturaIdentitaGenova e sul web per le prossime puntate!”, conclude Andrea Lombardi, editore e saggista e responsabile di CulturaIdentità Genova.
ENRICO ALBERTO D’ALBERTIS: UN GENOVESE DI MARCA ‘RINASCIMENTALE’
di Alberto Rosselli
Navigatore, esploratore, geografo, botanico, etnologo, scrittore, filantropo, inventore, disegnatore. Il capitano Enrico Alberto d’Albertis – la cui memoria è legata all’omonimo castello da lui stesso ideato con il gusto del collage architettonico e del revival neogotico e realizzato tra il 1886 e il 1892 da Alfredo D’Andrade, sulle rovine del bastione medioevaledi Monte Galletto – è senz’altro una delle figure più colte, affascinanti e originali che Genova abbia mai partorito nel corso dei secoli. Basti pensare che nel 1872, a 26 anni di età, questo talentuoso e bizzarro giovanotto coprì a tempo di record la distanza tra Genova eTorino in sella ad un velocipede in legno munito di ruote metalliche, superandosi poi l’anno seguente nel percorrere di corsa la tratta Genova-Nizza in un tempo di poche decine di ore inferiore a quello impiegato dalle carrozze a cavallo di linea. D’Albertis vantò, inoltre, un numero impressionante di importanti amicizie del mondo scientifico e politico, come Giacomo Doria, Arturo Issel, Leonardo Fea, Odoardo Beccari, Paolo Thaon di Revel, Umberto Cagni e Luigi Salvatore d’Asburgo, tanto per citarne alcuni. Nato a Voltri nel 1846, ultimo dei tre figli di Filippo e di Violantina Giusti, dopo aver frequentato il collegio torinese di Moncalieri, il giovane Enrico si iscrisse a quello genovese della Marina dal quale uscì nel 1866 con il grado di guardiamarina, facendo a tempo a partecipare alla disastrosabattaglia di Lissa che vide la numerosa ma inesperta flotta italiana dell’ammiraglio Carlo Pellion di Persano soccombere di fronte a quella austro-ungarica del ben più scafato parigrado Wilhelm von Tegetthoff. Dopo avere prestato servizio sulle corazzateAncona eFormidabile, nel 1870, il d’Albertis, ormai guardiamarina di prima classe, decise di lasciare la flotta da guerra, prendendo, l’anno seguente, il comando del trasporto Emilia con il quale attraversò, primo fra gli italiani, il nuovissimo Canale di Suez. Tra il 1874 e il 1880, d’Albertis si dedicò quasi ininterrottamente alla navigazione da diporto a bordo del suo yacht Violante, esplorando ogni angolo del Mediterraneo. Nel 1879, con Vittorio Vecchi, (meglio noto come Jack la Bolina) il conte Ponza di San Martino, il marchese Doria, il marchese Imperiale e pochi altri appassionati di vela fondò il Regio Yacht Club Italiano (per la cronaca, il ‘guidone’ del Violante, una stella bianca in campo azzurro, è stato per anni l’emblema del Club). A partire dal 1882, d’Albertis, per il quale il Mediterraneo andavo ormai troppo stretto, iniziò ad affrontare gli oceani, e a bordo del più robusto e grandeCorsaro, ripercorse la rotta di Cristoforo Colombo fino a El Salvador e New York, utilizzando soltanto copie, da lui stesso costruite, degli strumenti di navigazione in uso verso la fine del 1400, cioè il quadrante, l’astrolabio nautico, la balestriglia. L’impresa, realizzata in occasione del quattrocentesimo anniversario della traversata di Cristoforo Colombo, gli valse la meritata nomina a capitano di corvetta della riserva, anche perché sulla via del ritorno, durante un violentissimo fortunale con onde di oltre 12 metri di altezza, rischiò più volte di naufragare. Tra il 1895 ed il 1896, d’Albertis compì il suo secondo periplo del globo, affrontando, anche questa volta, tifoni e uragani. E dopo un periodo di relativo riposo ch’egli trascorse visitando l’Italia e quasi tutta l’Europa, nel 1900, non poté fare a meno di intraprendere una nuova, lunga navigazione alla ricerca di avventure. Nell’arco di un paio di anni, visitò Tripolitania, Algeria, Tunisia, Egitto, Sudan ed Eritrea, e nel 1905, la Somalia. Durante una sosta ad Alessandria d’Egitto, d’Albertis conobbe l’egittologo Ernesto Schiapparelli e, quasi all’improvviso scoprì una sua nuova inclinazione, l’archeologia, partecipando a fianco dello scienziato biellese a diverse campagne di scavo a Luxor, nellaValle delle Regine. Nel 1906, percorrendo le orme degli esploratori portoghesi, inglesi e tedeschi, d’Albertis visitò l’Africa Orientale (Kenya e Tanzania), i quasi sconosciuti Ugandae Burundi, effettuando anche una crociera esplorativa sul Lago Victoria. Durante la sua permanenza nel Continente Nero utilizzò praticamente tutti i mezzi di trasporto, dalla piroga al cavallo, all’asino, al mulo, al cammello e perfino alla zebra che, come è noto, non gradisce affatto essere cavalcata dall’uomo. Nel 1908, compì il periplo dell’Africa e nel 1910 completò il suo terzo ed ultimo viaggio attorno al mondo, trovando anche il tempo, tra una sosta e l’altra, per dedicarsi alla costruzione di vari marchingegni scientifici. Nota, a questo proposito, la sua passione sfrenata per le meridiane (ne fabbricò 103, l’ultima delle quali nel 1928 quando era ormai ultraottantenne) che disseminò nelle sue molte dimore di mare e di montagna (il Capitano d’Albertis fu, tra l’altro, anche un valente alpinista). In età matura, la sua residenza ufficiale fu sempre il Castello di Montegalletto, ma tra quelle mura egli trascorse in realtà non molto tempo, limitandosi praticamente a morirvi il 3 marzo 1932. Nei rari periodi di inattività o di relax, d’Albertis preferì, infatti, soggiornare in Egitto, (per studi, ma anche per dare sollievo ai suoi frequenti reumatismi) o nel suo piccolo ‘rifugio’ diCapo Noli (una catapecchia di legno a strapiombo sul mare), o nella torre saracena del Campese, sull’isola del Giglio. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, d’Albertis, nonostante la non più verde età, rientrò in servizio nella Marina Militare, effettuando diverse missioni e guadagnando anche una croce di guerra. L’ultimo decennio della sua vita, il Capitano lo trascorse a consultare libri, a raccogliere memorie e a riordinare le sue infinite collezioni di armi (soprattutto lance, spade e alabarde) ed oggetti scientifici di ogni tipo. Fece anche a tempo a provare l’ebbrezza del volo a bordo di grossi idrovolanti e fragili biplani dai quali scattò centinaia di foto. Insomma, non rinunciò proprio a nulla. Dopo la sua morte, il poliedrico d’Albertis donò il suo castello di Montegalletto e i preziosi tesori in esso racchiusi alla comunità di Genova che lo ribattezzò con il nome del suo ormai celeberrimo concittadino, adibendolo in seguito a sede del Museo delle Culture del Mondo.