L’attore e regista Marco Avogadro è mancato la sera di lunedì 4 novembre, dopo due anni di lotta contro il cancro e una vita tutta dedicata all’arte e all’impegno per gli altri.
I funerali si terranno giovedì 7 novembre alle ore 11.30 nella Chiesa di San Francesco di Albaro.
La camera ardente è allestita all’Hospice Gigi Ghirotti “Albaro” di via Montallegro 50, dalle ore 9 alle ore 19.30.
Innamorato della Grecia, della sua luce, della sua lingua, ma soprattutto della sua cultura, ha fatto di questa lo strumento, la misura, attraverso la quale interpretare, ma soprattutto vivere il mondo.
Così è stato padre e maestro, amico e compagno, artista e intellettuale che “sapeva di non sapere”.
Nato a Genova il 29 luglio 1957, nel suo profilo Facebook si definiva scherzosamente con queste parole: “Appassionato di opera a 5 anni, ex elettricista e macchinista (molto scadente), attore, assistente alla regia, regista, traduttore, insomma teatrante.” E il teatro è stato la sua vera casa, una casa ‘viaggiante’ che non ha mai abbandonato.
Avogadro debutta in palcoscenico a 19 anni, con Il borghese gentiluomo per il “Granteatro” di Carlo Cecchi e da allora, presenza discreta ma sempre attenta e profonda, non lascia più la scena, lavorando nel corso del tempo con registi come Luca Ronconi, Mauro Bolognini, Marco Sciaccaluga, Othomar Krejca, Tonino Conte, Alfredo Arias, Benno Besson. Sono sue le traduzioni dell’Aiace di Ritsos e del Pluto di Aristofane per gli allestimenti da lui diretti, a cui si aggiunge la co-traduzione di La donna seduta di Copi. Firma gli adattamenti e la regia degli spettacoli L’Orlo della mia veste da Boccioni, Aleramo, Campana e Respiri da Samuel Beckett.
Ma alla passione per lo spettacolo si affianca subito quella per l’impegno sociale, che lo ha portato a collaborare a lungo con la Casa Circondariale di Pontedecimo, coinvolgendo le detenute in stage e spettacoli o, negli ultimi anni, a insegnare come volontario nei corsi d’Italiano per i migranti della cooperativa Il Cesto.