Oggi alle 10 in via Gobetti a Genova è stata deposta una corona alla lapide che ricorda i Martiri dell’eccidio al Forte di San Martino ed alle 10.30, alla presenza del sindaco Marco Bucci e delle altre autorità civili e militari, è stato commemorato al Forte di San Martino il 74° anniversario della strage.
Sono stati schierati i Gonfaloni della Città di Genova, un Picchetto d’Onore dell’Arma dei Carabinieri e rappresentanze di militari e di forze di polizia in servizio e in congedo.
Ecco i nomi degli otto martiri: Odino Bellucci, 32 anni, professore al Convitto Colombo; Giovanni Bertora, 31 anni, tipografo; Giovanni Giacalone, 53 anni, straccivendolo; Romeo Guglielmetti, 34 anni, tranviere; Amedeo Lattanzi, 55 anni, giornalaio; Luigi Marsano, 33 anni, saldatore; Guido Mirolli, 49 anni, oste; Giovanni Veronelli, 57 anni, operaio, il più anziano, veterano della Guerra di Spagna e confinato a Ventotene.
Furono trucidati la mattina del 14 gennaio 1944 da un plotone di nazifascisti nel piazzale antistante al Forte di San Martino.
La sera del 13 gennaio di quell’anno due ufficiali tedeschi furono il bersaglio di un’azione delle milizie del GAP (Gruppo di Azione Patriottica) presso via XX settembre. Uno di loro morì poche ore dopo, scatenando la rappresaglia dei nazisti. Il Prefetto dell’epoca dispose un processo sommario per dieci antifascisti arrestati in precedenza per attività sovversive.
Il Prefetto chiese al Questore di inviare un plotone di 20 carabinieri per svolgere il “lavoro sporco” forse per dare una sorta di finta legalità. Fu designato il tenente di complemento Giuseppe Avezzano Comes, che si recò presso il forte con i suoi sottoposti, senza aver ricevuto i dettagli della “missione”.
Una volta sul posto, fu evidente a quale compito erano stati chiamati i carabinieri. L’ufficiale comandante, però, al momento dell’esecuzione si rifiutò di eseguire gli ordini, assicurando che nessuno dei suoi Carabinieri avrebbe sparato. Avezzano fu quindi chiuso nel Forte mentre i nazisti e alcuni miliziani della Gnr uccisero i condannati.
Il comandante Avezzano, rientrato successivamente in caserma, distrusse i documenti dell’ordine di servizio, per evitare che fossero riconosciuti i Carabinieri che si erano rifiutati di sparare, salvandoli dalla deportazione, che però tocco a lui.
Infatti, dopo un’istruttoria, prima fu mandato in un campo di detenzione in Germania e poi rinchiuso in un carcere in Italia, da dove scappò per poi essere nuovamente catturato ad Alassio, dove rimase in prigione fino alla fine della guerra.