Una rappresentazione corale che coinvolge tre generazioni di donne. Gli appelli per il teatro lanciati dal palco
Sono tornata a vedere lo spettacolo Estate in dicembre al Teatro Eleonora Duse. Lo avevo apprezzato già nel giugno 2019, quando era andato in scena alla Sala Mercato del Teatro Modena di Sampierdarena, nell’ambito della “Rassegna di drammaturgia contemporanea” organizzata dal Teatro Nazionale di Genova.
Ora a quest’opera allegra, basata sul testo del 2012 “Verano en Diciembre” dell’autrice spagnola Carolina África Martín Pajares (Madrid, 1980), è toccato il compito di chiudere, con l’ultima replica di domenica, la stagione teatrale appena iniziata. Il DPCM del 24 ottobre sospende gli spettacoli, i concerti e le proiezioni cinematografiche per contrastare, in teoria, il diffondersi del virus Covid-19.
Al termine delle opere rappresentate nei teatri Modena, Ivo Chiesa e Duse di Genova, gli attori hanno letto al pubblico l’appello lanciato dall’Associazione Cultura Italiae (a oggi, 27 ottobre 2020, sottoscritto da più di 100.000 firme) al Presidente del Consiglio, per richiamare la sua attenzione su diversi punti che concernono, in sintesi, le seguenti questioni:
1) Teatri e Cinema sono luoghi sicuri dove il pubblico è seduto con mascherina e non parla durante la rappresentazione.
2) Nonostante una comunicazione altalenante e ansiogena, il pubblico è stato convinto a riacquistare i biglietti.
3) È stata riavviata l’attività di produzione degli spettacoli sospesi, investendo di nuovo per il loro riallestimento.
4) Sono stati riprogrammati tournée, concerti, uscite cinematografiche, malgrado lo stato di incertezza dominante.
5) Sono stati fatti rientrare tutti i dipendenti dalla Cig, garantendo loro la giusta retribuzione e la dignità del lavoro.
6) La cultura ricopre un ruolo importante soprattutto in momenti difficili come quelli attuali e costituisce per i cittadini la possibilità di sognare, oltre i confini della propria quotidianità.
Tuttavia, già dal palco della XVI edizione del Festival dell’Eccellenza al Femminile, svoltosi a Genova dal 16 al 24 ottobre 2020, era partito un appello collettivo per lo spettacolo dal vivo, lanciato da attrici, artiste, giornaliste, performer, drammaturghe e scrittrici. Una grande solidarietà reciproca ha reso possibile la realizzazione di spettacoli teatrali con protagonisti della scena contemporanea, in luoghi bellissimi e con spettatori contingentati.
In occasione, poi, del lancio del suo Appello alla resilienza trasformativa, capace di trasformare la resistenza passiva al trauma in opportunità di cambiamento, Consuelo Barilari – ideatrice e direttrice artistica del Festival – ha dichiarato ancora una volta che “il Teatro e le Arti performative pulsano e infiammano più di sempre. E se, in questo momento, di cui non conosciamo la durata, non possono esistere i grandi numeri di spettatori, le Istituzioni devono sostenere il Teatro e l’Arte dal vivo per i piccoli numeri”.
E piccoli numeri di persone hanno assistito a Estate in dicembre (nella traduzione italiana di Antonella Caron), adempiendo disciplinatamente a tutte le norme sanitarie, anche se, poi, hanno applaudito come fossero stati grandi numeri. La qualità degli spettatori, forse, sopperisce in questi momenti alla quantità minore delle presenze.
La storia del titolo, opera vincitrice del premio Calderón de la Barca 2012, cattura da subito l’attenzione: sulla scena prendono posto cinque donne, che stanno sedute a distanza. Non si tarda a capire la relazione che le lega. Tre sorelle battibeccano tra loro e con la mamma. Sono Alicia, artista, che dà lezioni di pittura; Paloma, che fa spesso confusione con le parole altisonanti ed è divorata dall’ansia, e Carmen, vegetariana, sempre impegnata al cellulare e che non ha mai tempo per Zoe, la figlia piccola.
L’innesco di ogni dialogo, quotidiano e minimale, deflagra in potenziali scontri tra le protagoniste, così diverse, ma immerse nello stesso humus familiare, che sembra imprigionarle in una sorta di mondo a parte. Il personaggio della nonna paterna, magnificamente interpretato da Elsa Bossi, restituisce tutta l’ironia di chi sfiora la saggezza dalla propria demenza; la mamma, incarnata nella sua rigidità da Fiammetta Bellone, cerca di controllare la situazione e la vita delle tre figlie, ma lo fa arroccandosi nel rifugio della religione, che persegue quasi in maniera superstiziosa; le tre sorelle inseguono i propri sogni, accavallandoli l’una all’altra.
Elena Dragonetti interpreta con i giusti tratti una Paloma insicura, che inghiotte pastiglie, ha paura di volare e di morire ed è sopraffatta dagli altri; Alice Giroldini è una Alicia carica di belle speranze, che però fa mostre assurde; Sara Cianfriglia è una Carmen un po’ maschiaccia, una sportiva che adora il calcio. L’intreccio e le battute fluiscono gradevolmente, facendo volare gli 80 minuti della rappresentazione, con un continuo srotolarsi di eventi, all’apparenza di ordinaria amministrazione casalinga, ma in effetti ben congegnati in vista del finale a sorpresa.
La presenza – o, per meglio dire, l’assenza – maschile evapora in mere citazioni di padri, fidanzati e amanti, di cui soltanto possiamo immaginare la tipologia psicologica, mentre la quarta sorella, Noelia, che vive in Argentina, è ridotta alla sola voce.
La regia di Andrea Collavino è asciutta ed essenziale e si avvale della giovane aiuto-regista Marta Prunotto. La scenografia è spoglia, con sfondi che alternano due fasce di colore come quadri astratti. Ci sono momenti della pièce certamente da citare, come quelli malinconici in cui la nonna, quando si specchia, vede l’immagine della propria madre; oppure quando il pubblico in sala diventa il pubblico della mostra d’arte di Alicia ed è invitato ad applaudire; o il frizzante ballo collettivo sulle note del famoso brano pop di Nancy Sinatra, These Boots Are Made For Walkin’, che ci rimanda al 1965 e alla guerra del Vietnam.
Generazioni diverse a confronto, grandi temi delle vite di tutti nello sfondo, un dolore esistenziale che serpeggia e dal quale ci si vuole liberare sono trattati con sensibilità dall’autrice del testo. Le battute brevi, ironiche, nervose, tenere o crudeli sono sempre molto ben interpretate dal gruppo di attrici affiatate, che sostengono un buon ritmo in tutto lo spettacolo e aderiscono perfettamente ai loro personaggi, anche nella tipologia fisica. Insieme, fanno respirare allo spettatore quel senso emozionante del limite, nel quale ci si aspetta una rottura, una fuga o una separazione definitiva e si ritrova, invece, forza e unione. Ogni riferimento alla vita, adesso, non appare casuale. Linda Kaiser