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Estorsioni al Genoa inesistenti, il giudice: tifosi contro Preziosi non delinquenti

Enrico Preziosi, ex presidente del Genoa

“È provato in modo incontestabile che alcuni tifosi hanno tenuto atteggiamenti di contestazione contro le scelte societarie dell’allora presidente Preziosi e che, soprattutto nei mesi posti tra il 2016 ed il 2017, la frattura tra tifoseria e società si è acuita e anche che molti tifosi hanno avvicinato in modo incivile, se non violento o minatorio, giocatori non graditi”.

Tuttavia “non vi è prova del fatto che gli imputati abbiano tentato di ottenere benefici ulteriori, privati o individuali né che si siano associati per commettere una serie indeterminata di delitti”.

E’ ciò che, in sostanza, il giudice Riccardo Crucioli ha scritto nelle motivazioni della sentenza con cui il Tribunale di Genova ha assolto i 14 ultrà rossoblù accusati a vario di titolo di associazione per delinquere finalizzata a condizionare la società e in alcuni casi finalizzata all’estorsione per garantire la cosiddetta “pace del tifo”.

Secondo la pubblica accusa, che aveva chiesto complessivamente 33 anni di carcere per i 14 imputati, il gruppo di ultrà avrebbe imposto la pace del tifo in cambio di denaro.

Il giudice ha invece sottolineato come la presunta associazione a delinquere fosse “composta da sei membri che vengono usati, non sapendolo, come soldati ignari di combattere una guerra, da altri due che hanno finalità economicamente illecite”.

In altre parole “si ipotizza che il fine ultimo dell’associazione fosse noto solo a Marashi e Leopizzi, i quali utilizzavano gli altri sei per raggiungerlo” ha spiegato il giudice, quando la legge impone che per l’associazione debbano esserci almeno tre membri consapevoli dei fini dell’associazione stessa.

Secondo il teorema accusatorio dei pm, crollato davanti al giudizio del Tribunale, il gruppo di tifosi avrebbe costretto con minacce la società , nella persona dell’amministratore delegato Alessandro Zarbano, a versare i soldi attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti in favore della Sicurart di cui Leopizzi era socio occulto.

Il giudice ha spiegato che non è provato nemmeno questo presunto reato perché “un’estorsione senza soggetti estorti non è prevista dal codice penale”.

Inoltre “il dibattimento non ha, poi, consentito di affermare che Sicurart (e perciò Leopizzi e Marashi) abbia ottenuto indebiti vantaggi economici dal rapporto con il Genoa e la 4anyjob” .

Nella sentenza il giudice si sofferma a lungo sul principale imputato del processo, Massimo Leopizzi (per il quale la procura aveva chiesto 8 anni di reclusione), ricordando i suoi “contatti con la malavita organizzata, con quel Mario Rossi che è ben noto alle cronache giudiziarie genovesi”, ma ha precisato che anche per lui manca la prova dei fatti contestati.

“Se la caratura criminale di Leopizzi è fuori discussione ed è emersa anche nel corso del processo, ben altro discorso deve essere affrontato per gli ulteriori imputati” visto che “la passione per il calcio, l’organizzazione di contestazioni, la partecipazione ad assemblee dei tifosi e anche alle manifestazioni non sono elementi che di per sé provano la commissione dei delitti”.