Processo The Family. Così ribattezzato per il nome scritto su una cartella di documenti sequestrata all’epoca dall’ex tesoriere del partito Francesco Belsito (cacciato via dalla Lega) in cui comparivano quelle che sono state giudicate spese private della famiglia Bossi che sarebbero state pagate con i soldi del Carroccio arrivati anche dai rimborsi elettorali.
Secondo i giudici del Tribunale di Milano, Umberto Bossi è stato “consapevole concorrente, se non addirittura istigatore, delle condotte di appropriazione del denaro” destinato al partito della Lega Nord, ma proveniente “dalle casse dello Stato”, “per coprire spese di esclusivo interesse personale” suo e della sua “famiglia”.
Le condotte contestate dai pm sarebbero state portate avanti “nell’ambito di un movimento” cresciuto “raccogliendo consensi” come opposizione “al malcostume dei partiti tradizionali”.
E’ la sostanza di quanto scrivono i magistrati meneghini dell’Ottava sezione penale, nelle motivazioni della sentenza di condanna del 10 luglio scorso a 2 anni e 3 mesi per l’ex leader della Lega Nord, che sono state rese note oggi.
Con Umberto Bossi furono condannati il figlio Renzo (un anno e sei mesi) e l’ex tesoriere Francesco Belsito (2 anni e 6 mesi) che risiede a Genova.
L’accusa, per tutti, è di appropriazione indebita. La tesi della procura è che per Bossi “sostenere i costi della sua famiglia” con i fondi della Lega sia stato “un modo di agire consolidato e concordato”.
Nelle motivazioni dei giudici si parla inoltre di “completezza e coerenza” delle prove raccolte di fronte alle quali “ben poca strada riesce a fare la tesi difensiva” di “un Umberto Bossi dedito in maniera esclusiva e totalizzante alle questioni politiche e, per converso, per nulla interessato alle vicende economiche della Lega”.
Tra gli argomenti del processo c’era anche la “erogazione di fondi nell’interesse dei più stretti congiunti” del Senatùr. Sempre secondo i giudici milanesi, quella di Renzo Bossi sul caso della laurea in Albania sarebbe stata una “difesa inverosimile”.