Tanti, troppi sono i femminicidi in Italia e nel mondo (pensiamo solo a quello che succede nei paesi arabi, tra le scarse reazioni persino delle nostre femministe) e continuano.
Ci si chiede perchè si è parlato e si parla così intensamente di quello di Giulia Cecchettin, quasi a dimenticare le altre, fatto salvo qualche sprazzo di giornalismo.
Giulia era una ragazza con frequentazioni normali, nè drogata, nè tatuata, non particolarmente attratta dai social, responsabile di se stessa e dell’andamento della casa, dopo la morte recente e precoce della madre, in corso con gli studi, prossima alla laurea e con interessi specifici extrastudi.
Fidanzata con il classico bravo ragazzo, il tipo che piacerebbe a mamma e papà. Giulia era dunque una di noi, quelle con la testa sul collo, che, discretamente, senza esibizioni scollacciate, preparano il proprio futuro giorno per giorno, una ragazza razionale e capace di sentimenti forti.
Ma anche capace di decisioni autonome, come quella di allontanare, senza drammi e senza troppe sofferenze, un ragazzo controllante ed asfissiante che non la rendeva felice.
E comunque decisa a non cedere al di lui ricatto “affettivo”, cioè che non doveva laurearsi per aspettare lui che era indietro con gli esami, che senza l’aiuto di lei pensava al suicidio, senza rendersi conto che era proprio lei quella in pericolo. Già, perchè il “bravo ragazzo” non sopportava di essere sorpassato: Giulia era uno strumento a cui succhiare energie, a cui appoggiarsi senza nulla dare: un narcisista maligno (come lo definisce la nostra criminologa Bruzzone) che, quando ha capito di non poterla più usare, l’ha eliminata.
La sorella Elena ha parlato di persistente “patriarcato”- in realtà un fenomeno storico sorpassato – per definire l’ancora attuale supremazia maschile che accetta solo donne sottomesse e servizievoli, tanto più se sono talentuose.
Un dato di fatto che ancora sonnecchia in qualche famiglia e che molte ragazze, specie se dotate di un fratello maschio, conoscono bene: insomma, va bene il talento, va bene l’impegno, ma non si può umiliare un fratello, un marito, il maschio di casa, sennò si creano malumori, squilibri, esaurimenti nervosi. Però nel regime patriarcale la donna in genere era anche protetta…
Due cose stupiscono per la verità: la prima è il nonsenso di questo esercito di persone, professori, giornalisti, femministi, opinionisti, che prendono al volo la frase avventata di una ragazzina sconvolta dal dolore e la seguono come topi dietro al pifferaio magico discutendoci sopra per dei giorni, manco fosse stata l’accademia della crusca a parlare di patriarcato.
Lo stesso dicasi per le giovani donne ingenue del neofemminismo, che sottovalutano la necessità di una maggior attenzione ai segnali del narcisismo meno evidenti, mentre parlano di una “rivoluzione culturale” alquanto improbabile, senza rendersi conto che le mentalità nefaste hanno bisogno di svariati decenni per attenuarsi: infatti di cambiamenti culturali in materia se ne parla da svariati decenni senza avvertire dei grandi risultati.
La seconda cosa che lascia davvero perplessi è il compiacimente all’esposizione mediatica continua di padre e sorella.
Ognuno elabora un lutto come sa e come può, ma forse quando una figlia ed una sorella muoiono accoltellate, un filo di riservatezza in più sarebbe d’uopo.
Giusto per rendere omaggio ad una di noi, una delle migliori. ELISA PRATO