Niente più magliette col numero “88” sui campi di calcio italiani. Scelta consapevole o meno da parte del giocatore, negli ambienti neonazisti l’ottantotto richiamerebbe il saluto “Heil Hitler!” perché la “H” è l’ottava lettera dell’alfabeto.
Il mondo del calcio mette nel mirino, oltre ai violenti, anche l’antisemitismo con una dichiarazione di intenti sottoscritta oggi al Viminale tra il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi, il coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo Giuseppe Pecoraro e il presidente della Federazione italiana giuoco calcio Gabriele Gravina.
Il tutto con la benedizione del presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni: “Bene la celerità e la concretezza dei firmatari, diamo in calcio al razzismo”.
La dichiarazione è composta da 13 punti che le parti si impegnano a promuovere sul campo.
Si tratta, ha affermato il ministro Piantedosi, della “prosecuzione di un percorso virtuoso che abbiamo intrapreso anche su sollecitazione dello stesso mondo dello sport. Una risposta adeguata ed efficace ad un intollerabile pregiudizio che, ancora troppo spesso, si manifesta nei nostri stadi”.
Il secondo punto del decalogo anti violenza mette nero su bianco l’impegno a “non assegnare ai giocatori la maglia con il numero 88, considerato un richiamo esplicito alla simbologia nazista”.
Nello scorso campionato di Serie A i giocatori con il numero 88 sulle spalle erano due, entrambi croati: Toma Basic (Lazio) e Mario Pasalic (Atalanta). Ora dovranno cambiare.
In passato, ai tempi del Parma, il numero fu scelto anche dal campione del mondo Gianluigi Buffon, che lo abbandonò dopo le polemiche scoppiate, negando comunque simpatie naziste.
Altri noti calciatori della Serie A che hanno vestito la maglia 88 negli anni scorsi sono stati poi Marco Borriello alla Roma, Hernanes all’Inter e più recentemente anche Diego Perotti alla Salernitana, Mateusz Praszelik all’Hellas Verona.
Previsto pure il divieto di utilizzo da parte della tifoseria di “qualsiasi simbolo che possa ricordare concetti attinenti al nazismo e all’odio antisemita”. Nonché l’invito ai tesserati a tenere un linguaggio non discriminatorio in tutte le manifestazioni pubbliche, anche nelle interviste e nei messaggi sui social ed a partecipare a campagne di comunicazione sul tema.
Il settimo punto impegna a definire “con apposito disciplinare le modalità con le quali, al verificarsi di cori, atti ed espressioni di stampo antisemita, dovrà essere immediatamente disposta” l’interruzione della partita.
Attualmente la sospensione spetta all’autorità di pubblica sicurezza, ma le decisioni, o la mancanza di queste, nei casi di episodi di razzismo sono state spesso oggetto di polemica. Mentre l’arbitro può chiedere al delegato della Lega calcio di diffondere on gli altoparlanti l’invito ai tifosi di smetterla con i cori offensivi.
Si vedrà ora il nuovo disciplinare in cantiere come definirà la materia. Il decalogo prevede inoltre una verifica più attenta, anche con il ricorso alla tecnologia, del “rispetto rigoroso dell’assegnazione nominale del posto negli stadi”. Così sarà più agevole individuare e sanzionare i responsabili di interventi discriminatori.
Occorre inoltre potenziare la videosorveglianza e la presenza degli steward dentro e fuori gli stadi, “in particolare nei luoghi ove si siano verificati episodi di antisemitismo”.