Il 18 maggio 1988, a soli 59 anni, moriva il popolare giornalista genovese Enzo Tortora, conduttore, tra le altre, di note trasmissioni televisive come la Domenica sportiva e Portobello (28 milioni di telespettatori).
Un uomo perbene, ingiustamente arrestato e rinchiuso in carcere con l’infondata accusa di appartenere alla Nuova camorra organizzata, fu vittima di uno dei tanti casi di malagiustizia italiana.
“Mi è scoppiata dentro una bomba al cobalto” aveva scritto il giornalista alla compagna Francesca Scoppelliti, che morì l’anno successivo alla sua liberazione tra l’indignazione degli italiani e mille polemiche.
Oltre alle inattendibili e calunniose dichiarazioni di cosiddetti pentiti della camorra, i presunti elementi “oggettivi” si fondavano unicamente su un’agenda trovata nell’abitazione di un malavitoso recante scritto a penna un nome che appariva essere, inizialmente, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono.
Tuttavia, il nome, all’esito di una semplice perizia calligrafica, risultò non essere quello del giornalista-presentatore, ma quello di un tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risultò appartenere al già arrestato e rinchiuso in carcere Enzo Tortora.
Tante furono le sviste, le omissioni e l’inquietante accanimento di taluni magistrati nel perseguirlo contro ogni evidenza. Finalmente, il 15 settembre 1986, dopo la condanna a 10 anni in primo grado, Enzo Tortora fu assolto in appello da tutte le accuse con formula piena.
Il 20 febbraio 1987 tornò in Tv a Portobello con la celebre frase: “Dove eravamo rimasti?”. Tuttavia, il calvario giudiziario non era ancora finito perché ci volle ancora il giudizio della Corte di Cassazione, che il 13 giugno 1987 confermò l’assoluzione con sentenza definitiva.
“Dal mio punto non è cambiato nulla – ha ricordato ieri la figlia Silvia – sono 30 anni di amarezza e di disgusto. Mi aspettavo una riforma del sistema giudiziario, invece non è accaduto. Mio papà è stato prelevato dalla sua vita senza che venisse aperta una commissione d’inchiesta, senza che nessuno pagasse per quell’errore”.
Enzo Tortora, da liberale, decise di combattere “il cancro della giustizia” di cui fu vittima insieme al Partito Radicale di Marco Pannella. Una battaglia che portò alla vittoria nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati del 1987, tradotto ma sostanzialmente anche tradito dalla legge Vassalli approvata l’anno successivo.
Il giornalista Enzo Biagi scrisse una lettera aperta al presidente Sandro Pertini: “Vicende come quella che ha portato in carcere Enzo Tortora possono accadere a chiunque. E questo mi fa paura”.
Nel 2008 il Comune di Genova ha intitolato una galleria al concittadino giornalista vittima di malagiustizia, che si trova in centro città tra via Roma e galleria Mazzini.