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Il Barbiere di Siviglia: il colore, il gioco e l’astuzia

Il Barbiere di Siviglia: il colore, il gioco e l'astuzia

Ancora il “tutto esaurito” ieri sera, nella splendida cornice dell’Arena del Mare, per la prima del capolavoro di Gioacchino Rossini (Pesaro 1792, anno bisestile…). Anche la volta celeste ha voluto onorare lo spettacolo (già reso unico dal passaggio silenzioso, sullo sfondo, delle grandi navi da crociera), regalando ad un pubblico eterogeneo ed entusiasta una memorabile eclissi di luna piena, poi riapparsa in tutto il suo fulgore nel momento giusto, a spettacolo concluso.

Come ha scritto Silvio d’Amico, sagace osservatore d’arte, “Il Barbiere” non è  solo musica: è persone, intrigo, ironia, psicologia, tenerezza, beffa, nostalgia, amore, è “la commedia”, l’emblema del fiume di gioia con il quale Rossini, mentre si apriva il nuovo secolo, aveva inondato l’Italia e l’Europa, pago  dell’incanto e della virtù delle note, con le quali avrebbe potuto, lo dichiarava lui stesso, musicare anche la lista del bucato.

E così, in quest’opera che riassume il temperamento e la filosofia di vita del musicista, il dramma, se si intravede, è accennato, resta in superficie, quasi  pretestuoso, perchè il felice finale che vede gabbato il troppo maturo pretendente è intuito dagli spettatori  fin da subito.

Figaro è un abile e richiesto barbiere, ma assai più abile come  faccendiere e sensale di matrimoni.   Il conte d’Almaviva corteggia, travestito da Lindoro e spacciato per congiunto di Figaro, la graziosa Rosina, che vive con  don Bartolo, tutore anziano e sospettoso, desideroso di sposarla e sicuro di riuscire nell’intento. La ragazza, apparentemente docile per necessità ma poco suggestionabile, non è insensibile alla corte di Lindoro ed è  ben decisa a far valere la propria  volontà (“il tutor ricuserà, io l’ingegno aguzzerò… e cento trappole farò giocar”).

Tutti e tre, con una serie di azzeccati intrighi, riescono ad aggirare tutte le interferenze dei soliti individui servili e dei  calunniatori  e ad  averla vinta su don Bartolo, che rimane interdetto, reso inoffensivo, immobile come una statua.

Sia nella trama che nello svolgimento  l’opera non appare “moderna”: nel “Barbiere” sono presenti tutti gli elementi chiave della tradizione dell’opera buffa settecentesca, gli equivoci, gli inganni, i falsi messaggi,  ma l’abile utilizzazione ironica  degli stessi e la felice penetrazione psicologica dei personaggi la rende godibile e del tutto attuale.

Nell’allestimento del Carlo Felice gioca favorevolmente  l’entusiasmo, l’immedesimazione degli artisti nei personaggi, che fra l’altro sposano  con discrezione l’attuale tendenza del palcoscenico,  sia di prosa che di musica, verso il  coinvolgimento degli spettatori inframmezzando il testo con qualche battuta mirata (simpatico l’omaggio al pubblico genovese  mediante il riferimento al pesto, perfetto sulle trenette ).

E mentre scorre la nota storia degli amori segreti di Rosina e Almaviva è palese che anche gli interpreti si divertono; ciò aggiunge una nota in più di calore, slancio ritmico e complicità con chi assiste.

Artisti questi davvero bravi, scafati nelle doti e nelle tecniche, del tutto inseriti nei personaggi, dal magistrale Sergio Bologna, che più Figaro di così non si poteva, a Belfiore e Nacoski, che paiono modulare le voci al momento psicologico vissuto da Rosina ed  Almaviva, con qualche indulgenza belcantistica. Promossi Ottino e Parodi, che rivelano, nei panni di  don Bartolo e Basilio, doti di attori comici di tutto  rispetto; un plauso alla voce artisticamente matura di Calcaterra che, nei panni di Berta, fa rimpiangere la brevità della parte assegnatale.

Una parola va ancora spesa sulla bella apertura scenica su un quartiere ricco di vivaci e colorati rapporti umani e commerciali, nonché sul magico impatto estetico delle scene d’insieme fornito dalle comparse. Regia da lodare, ottima prestazione da parte dell’orchestra e del suo direttore.

Il Barbiere di Siviglia sarà replicato all’Arena del Mare il 29 luglio alle ore 21,15.

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“Fate bollire insieme quattro opere di Cimarosa, due di Paisiello, una sinfonia di Beethoven, mettete tutto a fuoco vivo …e avrete “il Barbiere”: così scriveva nel 1920, in tono di scherzo, ma con analisi sostanzialmente corretta, lo scrittore Stendhal, biografo di Rossini.

L’opera va in scena per la prima volta al Teatro Argentina in Roma il 20 febbraio 1816, per l’edizione realizzata in tempi brevissimi da Rossini su libretto di Cesare Sterbini, col titolo “Almaviva o l’inutile precauzione”.  Davvero inutile perchè l’opera venne fischiata, forse per istigazione di un teatro concorrente, forse perchè non convenzionale. Già alla seconda rappresentazione il “Barbiere” decollò e cominciò il suo iter trionfale prima nell’Italia settentrionale  e poi attraverso l’Europa, con la collaborazione di Lorenzo Da Ponte, che curava i libretti di Mozart.

Rossini comparve sulla scena dell’opera italica quando questa versava in crisi e si impose, dominando il teatro lirico con ben trentadue produzioni: l’opera “seria” ne esce rinnovata in quanto il Nostro, nel perfezionare l’opera buffa, abolì le differenze tra i due generi.

Figlio di un pubblico trombettista e suonatore di corno e di una cantante, si formò sui palcoscenici di provincia, diventando precoce compositore: dopo il  debutto a Venezia  con “La cambiale di matrimonio” continuò ad agire sulla laguna e a Milano e Roma. Nel 1815 conquistò Napoli con l’opera seria “Elisabetta regina d’Inghilterra”, sposandone nel 1822   l’interprete Isabella Colbran.

Dopo aver conquistato Vienna e Parigi, intascata l’ammirazione di Beethoven  che lo definì “genio straordinario”, abbandonò il teatro all’apice della fama, forse per motivi di salute, restando a Parigi, dove morì  nel 1868.  Alla base del suo silenzio forse la consapevolezza di non poter più condividere le indulgenze estetiche  del romanticismo: fra “fattucchiere, stravaganze, diavolerie”, non trovava più posto il suo slancio ironico, brillante  e ritmico.

Elisa Prato