Anche se siamo negli anni ’20 del Duemila i film muti continuano ad affascinare. Potremmo spiegare il perchè così: il cinema muto rappresenta un capitolo seducente nella storia dell’arte cinematografica, un periodo in cui le immagini in movimento si esprimevano senza il supporto del dialogo sonoro.
Erano gli attori a catturare l’immaginazione del pubblico con il loro linguaggio del corpo e l’espressività del volto, strumenti essenziali per trasmettere emozioni e narrare storie avvincenti.
Siamo nel periodo che si estende approssimativamente dalla fine dell’800 a tutti gli anni ’20 del Novecento, e che ha dato forma a un linguaggio visivo unico, contribuendo a definire le basi della narrazione cinematografica moderna. In questo contesto, gli attori del cinema muto sono emersi come veri e propri idoli della cultura di massa, contribuendo a definire il concetto di stella del cinema.
D.W. Griffith è stato senz’altro uno dei maggiore esponenti del periodo in quanto ha portato avanti l’evoluzione del cinema muto, esplorando la durata e la complessità delle narrazioni. Gli esperti di cinema sanno che il suo “Nascita di una nazione” del 1915 è una pellicola epica che ha contribuito a definire nuovi standard nella produzione cinematografica.
Ed è proprio la cineteca che porta il suo nome, la Cineteca D.W. Griffith, che in collaborazione con Casa Luzzati e il Museo Biblioteca dell’Attore, col patrocinio della Società Dante Alighieri – Comitato di Genova, dell’Associazione Amici dell’Accademia Ligustica di Belle Arti e della Libreria Antiquaria Borgolungo, in questo mese di luglio (venerdì 12 , venerdì 19 e venerdì 26) ha presentato alle ore 21 nell’Arena del Centro Sociale di Quarto Pianeta (ex Ospedale Psichiatrico, via G. Maggio 4, Genova Quarto) tre classici del cinema muto: Nanuk l’esquimese (Nanook of the North), di Robert J. Flaherty con Nanook, Nyla, Cunayou, Allegoo (1922, durata 1h19′);La Regina Kelly (Queen Kelly), di Erich von Stroheim con Gloria Swanson, Walter Byron, Seena Owen (1929, durata 1h11′)e a chiudere Agonia sui ghiacci (Way Down East), di David Wark Griffith con Lillian Gish, Richard Barthelmess, Lowell Sherman (1920, durata 2h25′).
Ma nel cinema muto, la musica aveva un ruolo fondamentale prima per ragioni meramente pragmatiche e, in seguito, sempre più per ragioni di carattere strutturale e narrativo.
E gli organizzatori dei tre appuntamenti hanno voluto offrire un approccio di tipo filologico al loro pubblico, prevedendo l’esecuzione nella sala all’aperto di un pianista.
I pianisti che ai tempi supportavano i film si erano specializzati in questo tipo di lavoro sviluppando notevoli capacità di improvvisazione e un istinto drammaturgico capace di aderire perfettamente alle esigenze narrative del cinema muto. L’accompagnamento musicale delle tre proiezioni genovesi è stato affidato a Paolo de Jorio, studente del Conservatorio Niccolò Paganini, compositore e presidente de La Nuova Fucina Musicale. De Jorio è stata la chicca delle serate, perfetto nel suonare un pianoforte verticale che, benchè scordato, dava il giusto effetto del passato.
Attento alle immagini che vedeva sullo schermo il musicista ha saputo dare la sonorità confacente ad ogni quadro del film, cosa non facile soprattutto se parliamo dell’ultimo Agonia sui ghiacci (Way Down East), che è durato ben due ore e mezza! Bravissimo ed avvincente davvero.
L’unica nota negativa, la location: il Centro Sociale di Quarto Pianeta, all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico di via G. Maggio 4, infatti, verte nel degrado più totale. Nel 2015 un articolo su Repubblica diceva così a riguardo: “Tutto fermo. Nessun progetto. Il tempo continua a incidere ferite ancora più profonde all’ex ospedale psichiatrico di Quarto. L’unica certezza é il polmone verde: una jungla cresce inarrestabile, i padiglioni storici, ottocenteschi, stanno inesorabilmente scivolando verso il completo declino, che renderà ancora più difficile una loro riqualificazione. Se ci sarà”.
Purtroppo dopo nove anni ancora non si vede nulla e chissà appunto se si vedrà mai. Non è gradevole recarsi ad assistere a spettacoli culturali all’interno di locali fatiscenti. Passando per quei portici si prova un senso di angoscia.
Sarà la suggestione legata al passato, ma quel posto grida “AIUTO” per i calcinacci che sono lì lì per cadere, per quelle transenne mai tolte da anni, per quell’atmosfera lugubre e sinistra in cui circolano ancora quei poveri malati che si fanno largo tra la vegetazione alta un metro, borbottando piano piano per poi sparire nel nulla dietro l’angolo come fantasmi.
A ottobre, in data ancora da definire, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Franco Basaglia, la stessa organizzazione ha preannunciato che sarà proiettato Matti da slegare, di Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli (1975, durata 2h15′), film che ebbe un ruolo importante nel sensibilizzare l’opinione pubblica sulla realtà manicomiale dell’epoca e l’urgenza della riforma poi attuata con la legge 180/1978. Bene, ma la pubblica amminstrazione potrebbe fare di più per quei luoghi che se non sono più un “manicomio” non ne hanno perso la fisionomia. Francesca Camponero