Per comprendere davvero i personaggi del “Don Pasquale”, opera tarda datata 1843 di Donizetti, è interessante riportare la descrizione dei dettagli caratteriali che ne fanno gli stessi autori: il protagonista è un “vecchio celibe tagliato all’antica, economo, credulo, ostinato”, il dottor Malatesta è un uomo “di ripiego, faceto, intraprendente”, amico sia di don Pasquale che del nipote Ernesto, giovanotto entusiasta, idealista e leale, come vuole la verde età, amante corrisposto di Norina,”giovane vedova , impaziente, schietta, affettuosa” e, aggiungiamo noi, un tantino cinica.
Oltre un decennio dopo “L’elisir d’amore”, Donizetti volle creare una seconda opera buffa, con l’intento di ripresentare personaggi e situazioni tipiche del filone comico, ma stavolta in chiave decisamente più realistica.
Il libretto fu affidato al fuoriuscito mazziniano Giovanni Ruffini, che però non volle firmarlo per le numerose modifiche introdotte dall’autore, al quale la leggendaria fretta di comporre (presto, presto! ) non impediva di revisionare ed adattare continuamente i testi alla musica. La prima rappresentazione avvenne a Parigi e poco dopo, nell’aprile 1843, alla Scala.
L’azione si svolge a Roma, in una pensione di poche pretese e in una cornice cittadina e salottiera, con abiti pressochè moderni, come propose lo stesso Donizetti.
Don Pasquale, l’anziano proprietario della stuttura, accetta con entusiasmo di sposare la giovane Sofronia, spacciata per sorella dal medico Malatesta: con ciò è convinto di dare una virata alla propria vita piatta e, al tempo stesso, di punire e diseredare il nipote Ernesto, che non vuole accettare un matrimonio di convenienza perchè innamorato della squattrinata Norina.
Malatesta, in realtà, vuole favorire Ernesto e la sposina pudica e velata che presenta è la stessa Norina, che asseconda con malandrina furbizia le opinioni antiquate del povero Pasquale sul ruolo delle mogli: una volta redatto un finto contratto di matrimonio, la giovane beffa fin da subito il maturo sposo, con spese folli e umiliazioni verbali, giungendo fino a schiaffeggiarlo. Il poveretto invocherà un divorzio liberatore ed accetterà di assegnare al nipote un cospicuo assegno annuo per le sue nozze con la stessa Norina.
Opera giocosa? Diciamo che è opera dai tratti comici spesso assoluti, senza limiti e dal sapore rossiniano. Ma anche opera malinconica, a volte pervasa da un clima romantico e da aspetti vicini al sentimento poco presenti nella tradizione buffa: e non a caso con il Don Pasquale si conclude storicamente l’epoca dell’opera comica.
L’allestimento offerto dal Carlo Felice è indubbiamente uno dei più riusciti della stagione. Lo spettatore viene catturato ed incuriosito fin da subito dallo scorrere delle pagine di un moderno fotoromanzo. Suggestiva ed indovinata la scenografia dagli aspetti prospettici arditi e dai colori vivaci della Roma di sempre, che permette di collocare tutta l’azione in una stessa ambientazione, con l’uso sapiente di panni stesi per i cambi di scena e, mediante luci verdi, per rappresentare il giardino in cui, alla fine, vengono svelati intrighi e verità.
Una scena moderna, che incrementa il contrasto tra l’ ambiente e la figura di un ingenuo Don Pasquale, al quale la vecchiaia non ha insegnato nulla, neppure a non fidarsi di se stesso: amaramente divertente la facilità con cui si lascia abbindolare dalle parole di Sofronia- Norina, spacciata per una fanciulla appena uscita dal convento, devota e sottomessa, che snocciola una specie di vademecum della buona moglie tutta cucito, ricamo, cucina. Figura già vetusta più di un centinaio di anni fa ma dura a morire ( forse ancora nei sogni di qualche uomo moderno?), come ci ricordano i nostri disincantati autori.
D’altra parte il fascino della gioventù spesso appone da sempre una corposa benda sugli occhi agli aspiranti coniugi.
Simpatici e magnetici i numerosi gatti verdi che popolano la scena, finti però, come l’abito verde di Norina copre i finti, ingannevoli sentimenti di lei.
Le voci degli interpreti Giovanni Romeo e Desirée Rancatore, come del resto del cast, mi sono apparse “pulite”, mature e ben impostate, adeguate alle situazioni rappresentate, con poche e comunque accettabili indulgenze belcantistiche.
Un plauso all’orchestra diretta da Casellati e alla regia e costumi di Barbre & Doucet.
Elisa Prato