E’ ancora presente in memoria l’immagine del postino che, qualche anno fa, in campagna d’estate, raggiungeva in auto il nostro domicilio per consegnarci personalmente le missive.
Ancora ben presente in memoria è che queste inattese missive, sconosciuti mittente & contenuto, non suscitavano ansia, anzi una gradita curiosità. Analogamente, nessuna ansia procuravano l’anonimo squillare del telefono e/o l’inatteso scampanellare della porta.
Tale stato di tranquillità domestica misurava (e ancora misura) la qualità dell’esistenza.
In drastica antitesi si colloca il tipo medio corrente di esistenza, incistato di un’ansia che né la tanto ambìta agiatezza economica, né gli evoluti sistemi tecnologici di sicurezza, né l’acquisto compulsivo di prodotti edonistici riescono ad arginare.
Per acclarata statistica, la vita civica resta confinata nella polifobia, nella paura di tutto, fino a costituire motivo d’ apprensione un “avviso di giacenza” trovato in cassetta postale.
Questo stato di allerta permanente troneggia in famiglia e, ancor più, in nome di ciò che si percepisce oltre il confine domestico, destabilizzando la già malandata impalcatura emotiva dell’individuo incivilito.
Volendo, gli effetti di tale allerta permanente sono già leggibili ogni volta che l’individuo spontaneamente rintraccia, nel panorama disponibile, la notizia più allarmista: ogni volta che classifica il vicino di casa come insidia e trova nella scontrosità il rimedio: ogni volta che percepisce un temporale come allerta rossa climatica: ogni volta che interpreta la medicalizzazione in atto come norma di salute, al punto di acquistare un orologio pubblicizzato per la sua importante funzione di monitorare lo stato di salute durante il sonno.
Tale drammatica conduzione del quotidiano impone alla malata condizione umana di seguire il gratuito suggerimento di Gandhi: “ogni idea di azione unificante, anche incompiuta, genera benefici reali e permanenti”. Massimiliano Barbin Bertorelli