Per brevità narrativa, tralascio di argomentare su quelle intenzioni amorose motivate, di fatto, solo all’idea di colmare la propria solitudine: sulla falsariga del “mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare” di Luigi Tenco, tanto per capirci.
Tuttavia, è risaputo che un punto dolente del rapporto sentimentale sta spesso nel suo stesso presupposto, quando è basato prioritariamente sul generico bisogno di se-durre (condurre a sé) e sulla prevalenza mistificatoria che il senso della vista assume mentre intravvede ed esaudisce la sostanza nell’immediatezza estetica della forma.
“Dove l’occhio va, va anche il cuore”, menzionando Carlo Dossi, è una possibile rappresentazione della condizione dinamica di un sentimento amoroso che, croce & delizia dell’esistenza umana, si definisce ex sé come fine cui ogni essere, a proprio modo e con distinte possibilità, tende.
Depurato così da ogni istanza astraente e distraente, l’uomo trova nel legame d’Amore la propria risorsa, il proprio riscatto, il completamento di una condizione personale percepita incompleta.
Nondimeno, visto l’esito statisticamente inglorioso di molti legami sentimentali, liberati dai lacci stretti di una tradizione rigorosa ma non da quelli ristretti della materialità e del senso del possesso, occorrerebbe intercedere per recuperarne l’insterilito significato.
Le pre-condizioni costitutive di un legame affettivo, rispetto al teorico compendio dei cinque sensi in biologica dotazione, cela e sottende l’insidiante dominanza dell’apparenza, a costituirne un tracciato tutt’altro che lineare e agevole.
E’ di fatto improponibile escludere, all’origine di un legame, una base estetico-ammirativa che, secondo il comune postulato di opportunità, premette e permette un’ impalcatura emotiva, in sé tuttavia inadatta a costituirsi solida e durevole.
Estromesso pertanto tale uso epidermico del pentacolo sensoriale, è deducibile (traducendo Kipling) che “i due individui mai si incontreranno”; o, per meglio argomentare, si incontreranno, ma solo il tempo necessario per capire di non capirsi.
A tale forma di reciproca incomprensione va prestata la massima attenzione, visto che arrivare a tale ingloriosa conclusione richiede talvolta l’intera vita. Massimiliano Barbin Bertorelli