Nel tempo, ogni metodo educativo esplica sempre un esito sociale. Rappresenta, nel suo auspicato effetto, uno “stimolo al rinnovamento della Società”, scomodando una considerazione di Maria Montessori.
Anche per questo, l’educazione familiare dovrebbe contribuire ad imprimere nella prole la forza dell’ autonomia di pensiero e di azione.
Ciò appare scontato, tuttavia è un fatto che il nostrano bamboccione (ben prima che l’appellativo assurgesse a investitura istituzionale) imperversi come stile di vita compromessa: da un lato, la volontà prioritaria dei figli (maschi tendenzialmente) di garantirsi un rifugio e un accudimento sicuri; dall’altro, il desiderio dei genitori di averne un controllo sine die, di praticare uno svezzamento educativo permanente.
E’ pertinente al tema un’ indagine pubblicata in LaLettura del CorSera in cui l’Italia pare collocarsi in una posizione arretrata, tra i Paesi presi in esame, per quanto riguarda l’età media (circa 32 anni) in cui i figli tendono ad abbandonare il contesto familiare: per rientrarvi tuttavia dopo poco, secondo lo statistico insuccesso delle relazioni sentimentali.
A tal proposito, tanto l’esordio tardivo quanto il rientro precoce appartengono di diritto, come esito, ad una tradizione familiare che si annette il figlio come bamboccione forever e lo preserva in uno spazio marsupiale tipico del mutualismo genitori-figli.
Anche in questo ambito il contesto educativo familiare pare trascurare la competenza emotiva del proprio bamboccione, focalizzando l’attenzione sulla competenza curricular-professionale.
Sia come sia, diviene singola priorità esorbitare dai pensieri e dalle azioni che convergono nel corollario dei condizionamenti eterodiretti attivi fin dalla nascita.
L’ inattuale conquista di adeguatezza emotiva e comportamentale non tarda ad essere compensata con una domestica auto-celebrazione di virtù in capo al bamboccione forever.
La logica conclusiva di senso, in base a questo imbalsamante e autogeno contesto, è svincolarsi al più presto da tale ovattato addomesticamento.
Per metafora e mercificando il concetto, l’esposizione mercatale di un prodotto, come pare in molti casi costituirsi la prole, anche se contempla a ragione un’ ideale di confezionamento, non può pensare di compensare con l’ estetica la qualità complessiva del contenuto. Massimiliano Barbin Bertorelli