Immaginiamo di affrontare una situazione con l’usuale scontrosità civica che permea la vita quotidiana. E che ne esprime, già di per sé, il clima istericamente combattivo.
Ad esempio, richiamando l’urlo “banzai!” (di origine nipponica), si può facilmente impressionare il vicino di casa od il collega di lavoro e disinnescare ogni eventuale loro malevola intenzione nei nostri confronti.
Tale stentorea esclamazione riesce a trasferire l’idea tetragona di essere pronti alla lotta e votati alla vittoria, decisi a superare ogni ostacolo che vi si frapponesse.
Così, pari-pari, questo “grido di battaglia” è assimilabile all’odierno strepito competitivo, alla condizione u-morale in cui la società capitalistica travaglia ed asservisce l’individuo. E nella misura in cui egli, più o meno consapevolmente, fa le spese di tutto questo, nelle griffate vesti di consumatore od in quelle nevrotiche alternate di automobilista-pedone.
Senza prestarci ad eccessivi sbandamenti ideologici ed anarchismi di sorta, si può ben argomentare, per consentita ironia, il risultato ad oggi raggiunto di un ideale di vita tendenzialmente delirante.
La millantata ipotesi che ciascuno, nel “libero mercato”, col proprio impegno e con proprie capacità, possa farsi strada e giungere al meritato successo, ha via via innestato diffidenza ed ostilità verso qualsivoglia interlocutore-concorrente.
Avviato in tale alieno ed alienato modus vivendi, non vi è dubbio che l’essere umano debba arrancare ad ogni passo, per conquistare una propria nuova posizione (perdendo nel frattempo quella originaria).
L’anatemico richiamo alla disputa rimette il tracciato dell’esistenza umana su un binario morto, quantomeno in cattiva salute.
D’altro canto, se la cultura si è così “reificata”, tradotta in feticistico consumo, è implicito che tale combinazione definisca l’odierno stato di technostress e ne consegua una massa imprecante di cittadini.
Si radica la soluzione, ampiamente praticata, seppur non risolutiva, di rinchiudersi ciascuno nel proprio loculo protetto da ogni intrusione.
Resta la Natura a ricordarci, quando si è nella condizione di osservarne ed ascoltarne l’armonia, il senso ancestrale di comunità e di appartenenza: quello stesso cui pare ispirarsi l’ “ululato del lupo”.
Si ammetta quindi l’amara e temporanea conclusione nel constatare che “la Natura, permettendo l’uomo, ha commesso un errore di calcolo, un attentato contro se stessa”, citando Cioran.
Massimiliano Barbin Bertorelli