Può sembrare paradossale che, accanto alla sua preordinata funzione (spingere il consumatore all’ acquisto alluvionale di beni voluttuari inessenziali), il consumismo svolga, definiamola così, una funzione di previdenza sociale: distrarre l’individuo-consumatore dal significato originario della propria esistenza, costituendogli intorno una appetitosa griglia di pseudo-valori materialisti alternativi.
Un esempio spicciolo: il consumismo, con le sue palesi contraddizioni nevrotizzanti, innesta magistralmente nella credula immaginazione del consumatore il miraggio del ben-essere materiale, avendolo ormai persuaso di possederlo con l’acquisto degli oggetti simbolici messi a disposizione dal mercato.
Questo bombardamento consumistico ha spazzato via ogni eventuale tentativo di riflettere sull’ effettività di tale ben-essere e costituito un individuo incapace di porsi la domanda critica: com’è possibile ambire e trovare gratificazione in una modalità d’esistenza di così scarso valore?
Rispetto all’insidia della domanda, é meglio soprassedere e rimuovere in fretta dalla mente ciò che non è strettamente collegato all’ idea telepilotata di felicità.
Ovviamente, anche il dialogo familiare ha rimosso l’argomento, onde evitare dolorose ri-emersioni.
E’ dunque comprensibile ogni distrazione dilatoria, poiché il ben-essere dell’individuo metropolizzato, salvo i concessi canali della spiritualità modaiola, non prevede pensieri introspettivi.
Non resta che per-correre il binario consumistico senza pensamenti alternativi, considerato che l’individuo imita più la fissità della locomotiva che la possibilità del bisonte di scartare di lato, recuperando un testo di Francesco De Gregori.
L’ io-consumista disdegna, aborrisce ogni introspezione, tanto più che “non ha bisogno di pensare chi é in grado di pagare”, citando I. Kant.
Così si rafforza passo passo il binario consumista: abbandonando ogni riflessione critica.
In conclusione, se è vero ciò che afferma Umberto Galimberti, “la persona felice non consuma”, il consumismo magnificamente è prolifico nell’ infelicità. Massimiliano Barbin Bertorelli