L’odierno scenario globalizzato evoca la presenza di un individuo inscindibilmente avviluppato al mezzo informatico-tecnologico.
Nondimeno, tale iper-tecnologismo stenta a produrre il ben-essere che il mainstream vuol fare credere.
Resta il fatto che l’esistenza odierna, ancorché informaticamente supportata, è visibilmente in rimessa.
Accolto dunque l’assunto di San Tommaso d’Acquino, per cui “una vita riuscita dà felicità anche agli altri”, il livello reale di raggiunto ben-essere é riconoscibile proprio nell’irradiarsi, nel diffondersi spontaneamente da individuo a individuo, dipendendo principalmente da fattori endogeni.
Ne discende che il ben-essere può dirsi tale solo quando dipende da stabili presupposti immateriali e non dai simulacri di felicità propinati dalla realtà commercial-mediatica.
In questo senso, ogni artificiosità, ogni falsificazione riverbera in effetto boomerang sull’individuo, costituendosi solo come un fugace momento euforico, il cui transito non tarda a rivelare il sostrato di “infelicità organizzata”, per citare Herbert Marcuse.
Sia come sia, l’individuo, nella schematicità in cui configura e modella la propria esistenza, presceglie una direzione univoca irreversibile, da cui è impensabile programmare una successiva fuga.
Tra insolenze e artificiosità, si annuncia pronta cassa un’esistenza alterna e impotente: antitetica all’idea che “domare ogni desiderio fatuo e inessenziale rende potenti”, per citare Emil Cioran: antitetica ad una società che impone il rampantismo e che non ammette una percezione di un sé perdente.
Se del caso, tale percezione resta sottotraccia, inconfessata, onde evitare l’ effetto boomerang tipica di una sprovveduta sincerità.
In soldoni, l’ agognato ben-essere, in versione tecno-edulcorata, transita tra finzione e bella fregatura. Massimiliano Barbin Bertorelli