Emanciparsi definisce il naturale atteggiamento, per luogo comune incarnato dalle nuove generazioni, di chi dribbla ogni consuetudine educativa ritualizzata e riesce a vivere in autonomia, senza particolari condizionamenti interni ed esterni.
Sempre riferito alle nuove generazioni, in particolare, trattasi dell’atteggiamento di chi svincola i dettami esterni che tendono ad occupare abusivamente lo spazio socio-affettivo personale.
Detto fatto: emancipato è chi lascia insoddisfatte le pretese e le prescrizioni familiari, a salvaguardia della propria idea di esistenza e di libertà.
Tale è il vigoroso e impegnativo presupposto.
Senonché, il modello di emancipazione che oggi padroneggia è ancora declinato nell’esaudimento di impartizioni eterodirette e di schemi ereditati di comportamento: il tutto sideralmente distante dalla definizione, come pure dall’ assunto di Gioacchino Da Fiore, che già nel 1100 affermava “l’emancipazione esclude il bisogno”.
Non afferisce quindi al concetto praticato di emancipazione essere sotto lo scacco di conculcamenti socio-affettivi, da qualsivoglia parte provengano.
A ribadimento, è sufficiente osservare le ordinarie dinamiche relazionali delle nuove generazioni per capire l’equivoco nel definirle tout court emancipate, visto che sostanzialmente e acriticamente replicano, pur sotto rinnovate vesti e con altri toni, consuetudini ataviche.
Trattasi di una emancipazione formale che esprime in sé l’ingenuità di ogni eventuale diversa pretesa.
Tale condizione immatricolata anela al consenso altrui, laddove risulta estranea ad ogni chance emancipativa, laddove persegue la linea di condotta tracciata dalle istanze del mercato affettivo e/o accoglie a braccia aperte il dio profitto come unico vero compagno di vita.
Una condizione prigioniera in cui l’ emancipazione è argomentabile solo a chiacchiere, in cui la contingenza soperchia l’individuo, sopprimendo ogni iniziativa realisticamente personale.
E’ fuor di dubbio la dimensione bisognosa dell’ essere umano, ben rappresentata, per uscire dai confini della cultura tradizionale, dall’ideogramma zen: due aste inclinate che si sorreggono a vicenda.
In conclusione, ogni intento emancipativo va principalmente esorcizzato dall’influsso di atavici vincoli cultural-educativi.
Riepilogando, l’attuale feticistica accettazione degli stereotipi del mercato, l’omologazione del comportamento, l’ossequio ad un’ esistenza affettiva appiattita su istanze familiari manipolatorie, possono al massimo supportare un’ emancipazione modaiola. Massimiliano Barbin Bertorelli