Richiede uno sforzo erculeo sbarazzarsi del peso superfluo.
La premessa può comprensibilmente indurre a pensare all’ invadente presenza di una silhouette debordante, poiché sappiamo bene, forse anche per diretta esperienza, lo sforzo che occorre per riportare la figura umana entro una linea accettabile.
Tuttavia, tale richiesta di sforzo non riguarda solo l’aspetto fisico. Eliminare il peso superfluo dei pensieri necessita di un impegno ancora superiore: la mente deve imporsi con prepotenza nel contrastare e debellare tale inviluppo.
Nel primo caso, lo sforzo è proteso alla lotta contro un avversario riconoscibile, collocabile nella fisicità e nell’ “appetito”, traducibile nell’apporto calorico di cibo. In tale obiettivo, per brutale sintesi, le ambizioni estetiche dell’io-sociale possono fare da traino all’idea di affrontare, con speranza di successo, l’impervia ascensione alla levità.
Nel secondo caso, lo sforzo si colloca nell’ insidiosa dimensione dell’immateriale e dell’invisibile, nella lotta “senza esclusioni di colpi” (riecheggiando il titolo di un noto film d’azione) avverso il clandestino che si occulta in ogni individuo, la cui invisibile presenza impone un atteggiamento prudente. Scoraggia vanagloriose e vittoriose pre-annunciazioni.
Entrambi i casi hanno una connessione, una contiguità che esponenzializza la percezione di una realtà gravosa, pur consegnandone impari esiti, vista la variabile capacità personale di disinnescare l’artiglieria implosiva della quotidianità.
Sia come sia, svariati sono gli esempi, anche storico-mitologici, tra pene inflitte e sforzi sostenuti: Sisifo, nella sua afflizione senza fine, ne è divenuto simbolo, tanto da essere classificato come “sforzo consapevolmente sterile” (cit. Camus). Questa applicata consapevolezza efficienta la volontà, conducendola al traguardo senza diversioni di rotta, in subordine alla circostanza, va ribadito, che l’appesantimento ponderale è ben visibile, mentre la tribolazione mentale si nasconde alla vista.
In tal senso, riconoscere le proprie attitudini vuol dire qualificarne i presupposti e pre-stabilirne gli effetti. Vuol dire modulare e calibrare le circostanze in cui transitiamo, alzando od abbassando di volta in volta l’asticella, per capire se superarla o passarci sotto.
Perdipiù, su altro fronte casistico, può intervenire la fattispecie che esige, al contrario, di aggiungere “peso” ai nostri pensieri, onde prevenire la possibilità di essere spazzati via da una inattesa folata di novità.
Esiste una lotta anche per dare stabilità ad una condizione di leggerezza temporanea, destata magari da un’idea fantasiosa di fuga. In tale circostanza, possono anche servire le “tasche piene di sassi” di Jovanotti, per ancorarci in un cammino sottoposto ad intemperie, per zavorrarci in vicende emotivamente confuse.
In sintesi, per conservare una silhouette perfetta, non ci si stupisca di trovarsi in situazioni che impongono, paradossalmente, di mettere su peso.
Ciò compone l’inesausta lotta che l’essere umano, in misura della propria attitudine, combatte e dibatte quotidianamente. Qualche volta a favore, qualche altra a sfavore.
Massimiliano Barbin Bertorelli