Tutt’altro che chiaro è il motivo per cui l’individuo (letteralmente, indiviso) si percepisca incompleto e cerchi per questo motivo, con tutte le forze proprie e altrui disponibili, di colmare la dimidiata percezione.
Tutt’altro che chiaro è il motivo per cui, non dissimilmente alla patologia che dimenava il malato nel cosiddetto “ballo di san Vito”, l’individuo scalpiti e smani per trovare conforto e stabilità emotiva per mezzo dell’ unione di coppia.
La dinamica è magistralmente rappresentata nel film “The lobster” di Y. Lanthimos (2015) in cui si identifica una realtà sclerotizzata tra fretta & necessità’ che pone obbligo di ricostituire il baricentro della singola esistenza “puntando il centro del compasso sulla consuetudine affettiva domestica”, citando liberamente Kobo Abe.
Nella casistica di tale dimenamento, si manifesta e s’impone con evidenza la protensione implorativa ed esplorativa nell’idea-rassicurazione di nucleo familiare.
Una protensione suscitata dall’impellenza del bisogno, piuttosto che dalla piena consapevolezza del presupposto.
In questo modo rischia di restare inattinta e tendenzialmente disattesa ogni idea di stabilità emotiva, giacché si coniuga nell’ artificioso precetto costituito dalla e sulla tradizione. Essa infatti non tarda ad adottare una malcelata spinta centrifuga, comunque proiettata verso l’esterno.
Tale irriverente e generale rappresentazione non propende, non auspica l’alternativa della solitudine affettiva. Al contrario, privilegia e valorizza quella dinamica sentimentale che sortisce svincolata, liberata dalla norma interiore della necessità.
In analogia a certe altre s-manie, la narrazione include l’idea di un’esistenza personale dedicata e qualificata nell’unione di coppia come opzione sana e legittima.
Esclude tuttavia l’idea di considerarla come unica opzione possibile, come unico conforto, valendo a tal fine, per legge statistica, la considerazione di A. Strinberg: “l’immagine del menage familiare mi distanzia dall’idea dell’amore”. Massimiliano Barbin Bertorelli