Dinanzi all’estemporanea domanda circa il personale status di felicità, rivolta ad una immaginaria platea schierata in fila, ipotizziamo la nettezza di un “passo indietro” per chi ne da positiva risposta ed un “passo avanti” nel caso opposto: si pone il rigoroso motto “tertium non datur” ad escludere posizioni intermedie.
Si crea pertanto la condizione di appellarci, finalmente, ad una esposizione tassativa e manichea del pensiero: si o no, destra o sinistra, giorno o notte. Avanti od indietro, giustappunto.
Inutile ed irrilevante chiedersi, in tale simbolica circostanza, perché il “passo indietro” sia stato chiesto a chi è “contento” ed il “passo avanti” a chi non lo é.
Pur inessenziale paia il dettaglio, insistendovi un pò, esso vuole assumere tuttavia un significato, proprio nel “passo avanti” di chi esprime scontentezza, in opposizione alla comune accezione secondo cui “fare un passo avanti” contempli sempre in sé un’idea di miglioramento. Viceversa, “fare un passo indietro”.
In direzione contraria all’accezione comune, inveritiera nella sua connotazione vettoriale, troveremo una probabile concentrazione di insincerità più nelle risposte della fila arretrata che dell’avanzata: più tra i “contenti” che tra gli “scontenti”.
In effetti, nel fare i conti con la propria personale condizione, in specie quando la si manifesta verbalmente a seguito di una specifica domanda, non è raro trovarsi in tasca ritagli di pensieri auto-ingannevoli, oltre che, a latere, dichiarazioni volutamente falsate.
Cosicché, l’idea di tacere, di non rivelare proprie difficoltà, in forza di una dinamica dell’io sociale che tende a sacrificare, a soffocare la spontaneità, prevale, quando non addirittura l’esibizione di una condizione di benessere solo apparente.
In conclusiva sintesi, parallelamente al “non c’è nulla di vero tranne la calunnia”, citando Sandor Marai, e scontando un clima sociale umoralmente insidioso, vaga la riflessione secondo cui oggi la “contentezza” umana stenterebbe a trovare un benessere nell’ “essere”, trovandone uno migliore nell’ “apparire”.
Massimiliano Barbin Bertorelli