Malgrado sia comico il genere assegnato al film “Uomini e caporali” (1955), quasi seriamente viene trattato l’argomento degli abusi quotidiani di potere, laddove li si riferisce ad una genealogica predisposizione individuale.
E’ interessante, in proposito, menzionare l’ episodio in cui il protagonista (Totò), malgrado il medico lo consideri da internare in manicomio, persevera nel dare per certo che caporali si nasce, non si diventa e coloro che vi nascono non vedono l’ora di esercitare angherie & pre-potenze nei confronti del prossimo.
Prendendo spunto dalla comicità cinematografica, ogni abuso di potere, grande o piccolo, comunque miserevole, è implicato ad una predisposizione personale, ad una impersonificazione caporalesca che, sotto sotto, com-mette nel proprio ordine del giorno abusi, soprusi, sopraffazioni.
Questa impersonificazione é collocabile in tutte quelle circostanze in cui l’abuso dipotere è nascosto, dietro le quinte, come tipicamente nell’ esercizio privato-domestico, o esposto, in nome della legge, visto e considerato che “lo Stato detiene il monopolio dell’uso legittimo della forza” (cit. Max Weber).
A questo punto, poco rileva se chi commette l’abuso di potere è considerato un individuo socialmente inetto e culturalmente inadeguato; se é vittima di un io-clandestino che ne sottomette la coscienza o se “la frustrazione è il risultato che il potere produce su individui inadatti a possederlo” (cit. Peter-Hull).
Ben oltre ogni riverente giustificazione, circola per strada una moltitudine di caporali, il cui sottaciuto intento, ai vari gradi di possibilità, è angariare il prossimo.
Detto fatto, nelle varie e differenti dinamiche sociali di convivenza (obbligata, come quella lavorativa e volontaria, come quella domestico-condominiale) sono purtroppo statisticamente garantite angherie, da parte di una nutrita rappresentanza dicaporali della porta accanto, a carico di una corrispondente rappresentanza di angariati.
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