Il circuito ermeneutico del sospetto, quel luogo in cui è saldamente incistata la percezione della presenza dell’altrui ostilità, contamina ogni spazio di relazione, intridendovi pensieri dolenti secondo cui ciascuno è intriso di intenti malevoli, mai esente da falsità, ambiguità, sotterfugio.
Questa, in sintesi, è la rappresentazione dell’odierno luogo sociale, in cui la costante percezione dell’ inganno e della frode pare celarsi dietro ogni angolo di strada, appena oltrepassato l’uscio di casa. Tal quale si innesta qualsivoglia dinamica relazionale, lavorativa e affettiva.
La questione, per come si sta delineando, contiene in sé innegabili e visibili elementi comici, accanto a quelli inevitabilmente tragici.
Dinanzi alle conseguenze di una tal ossessiva sospettosità, c’è da entrare in due e uscire in quattro, utilizzando un proverbio popolare che identifica la surreale assurdità della circostanza.
Ammessa e non concessa una realistica aliquota di sospetto rispetto a quello percepito e temuto, lo spettro dell’altrui subdolenza fertilizza la convinzione di una verità personale incontrovertibile, assoluta: in realtà, statisticamente fuorviante.
Arrivati al punto, è improbabile che l’individuo, mansuetizzato e convinto dalla contingenza, riesca a sottrarsi al giogo. E’ parimenti improbabile che si convinca, malgrado l’incuranza manifesta del pulpito istituzionale, del malessere prodotto da questo modus vivendi. Più probabile è che continui a credere e ad affidarsi al mainstream del circo politico-mediatico.
L’esistenza metropolizzata gravita non a caso nel paradosso di un’orbita tanto circospetta, quanto sudditante.
Il non-sense non dispone diversioni, nessun provvidenziale risveglio dal sonno, salvo una mise-en-abyme, un sentirsi svegli mentre si sta ancora dormendo.
Permane, a ribadire, un contesto ambiguo, tra il serio e il faceto, in cui le singole vicende umane si orientano nella direzione della ricerca condizionata della verità.
Posso dunque concludere con l’irriverenza dell’affermazione di Karl Kraus: “la libertà di pensare è vana senza un pensiero libero”. Massimiliano Barbin Bertorelli