Qualunque idea di “confine”, di delimitazione di una proprietà, è per natura priva di senso.
A maggior ragione, quando la si compone materialmente, per esempio con l’elevazione di un solido muro, non si può evitare di chiederci il senso vero di tale sua esistenza. Ed anche della nostra, con riferimento ad una così ristretta identificazione di funzione.
Il più delle volte, comporre una demarcazione, una linea separativa tra luoghi attigui e continui (anche di pensiero), imprimere tra loro una soluzione di continuità, è un’idea sconsiderata.
Similmente, un discrimine tra due qualsivoglia, anche opposte, espressioni e condizioni della stessa natura innesta una dualità, conflittuale in quanto tale.
Ben alla larga da immanenti “tecnolatrie”, consideriamo semplicemente le attese insite nei comportamenti socialmente prevedibili, nelle consuetudini, nella manifestazione di valori etici.
Essi rassicurano per le loro modalità, connotando i luoghi in cui prendono forma. Per converso, non rassicurano quando mutano d’emblee il percorso intrapreso e pregiudicano sensibilmente tali attese.
Ecco perché, ad esempio, ci e-straniamo, dopo aver appellato “normale” il comportamento di un individuo, quando nello stesso si palesa, di lì a poco, un diverso contraddittorio intento, cui porre immediati rimedio e riparo.
Sortisce assenso, per altro verso, la prima facie, il luogo comune riferibile a ciò che appare a prima vista, in specie quando vi si trova conferma.
L’attribuzione stereotipata di “fiducia” verso un preciso modello umano è un concetto con cui, prima o poi, potremmo fare i conti. Per questo non è certamente opportuno accantonare il concetto come desueto, né disporre arginature.
Se prima, nell’immaginario collettivo, il soggetto da tenere fuori dall’uscio era (seppur sempre con margine d’errore) visivamente identificabile, oggi tale identikit viene sensibilmente a ridefinirsi. L’uno vale potenzialmente l’altro, entrambi in egual misura ritenuti correi e motivo di una ragionevole “tattica difensiva”.
In conclusione, è in questa alternanza vittima-carnefice, carceriere-carcerato, buono-cattivo, che situiamo il confine, invisibile ed aleatorio, sul quale, tra dentro e fuori, transitiamo.
Massimiliano Barbin Bertorelli