Un qualsivoglia pensiero, causa-effetto di nostra costante occupazione, si può volatilizzare nel momento stesso in cui viene da noi obliato, accantonato dalla mente.
Denomino, per comodità, contro-pensiero tale stravagante fenomeno , visto che il primo tipo di pensiero può condurre non di rado a contorsionismi, a fenomeni di auto-afflizione, mentre il secondo, per mezzo della dimenticanza, della distrazione, pare contrastare fino a dissolvere tali effetti, fino a farli scomparire dall’orizzonte ristretto della mente.
Analogamente, si comprende che una libera importazione del “pensiero laterale” (cit. E. De Bono) dispone un’angolazione visuale ulteriore, più estesa.
In estrema sintesi, l’esistenza e l’insistenza di un qualsivoglia pensiero discendono anche dal grado di attenzione disimpegnata da parte del soggetto pensante.
Significativo il fatto che sia proprio questo contro-pensiero a costituirsi a salubre fondamento e ad imprimere, in presenza di uno status mentale movimentato, una percezione più pacificata della realtà.
Anche se solo in parte consci dell’opportunità, essa ha potenziali funzioni di soccorso, così da emancipare da una minorità rispetto a conseguenti immaginazioni ideoplastiche.
Ciò sottopone a possibile critica il concetto di “libertà”, sulla quale già il filosofo greco Epitteto argomentava che “solo chi è padrone di sé stesso può essere libero” (a ben donde, visto i molti anni trascorsi in schiavitù).
Incalzando con altra contro-menzione (Gadamer), “l’uomo non può diventare padrone di sé stesso nel senso che non può sottrarsi da ogni tradizione e da ogni legame con il passato”, si rifletta compositamente l’accortezza di non riporre esuberante attenzione a questioni che andrebbero ad alimentare e rinsaldare unicamente le nostre stesse paure.
Nel tentare di distinguere ciò che può dipendere da noi da ciò che ne è indipendente, concordiamo un termine fisso, su cui questa volta proficuamente e finalmente concentrare l’attenzione.
Ad esempio, regalarci “il dono prezioso di non essere troppo intralciati da noi stessi”, citando anche, e sommessamente, André Gide.
Massimiliano Barbin Bertorelli