Il Nano Morgante. La generazione 4.0 insegue la velocità, ma questa velocità è clandestina, stridente con le condizioni originarie dell’esistenza, come lo é ascoltare un disco a 33 giri accelerato a 78.
In realtà, osservando il numero di giri necessario al vivere quotidiano, se ne deduce immediatamente la “contro-produttività della tecnologia” (cit. I. Illich), si manifesta l’evidenza dei suoi effetti vampirizzanti.
Non per niente, l’improvvido balzo dalla deep-attention (riflessione profonda) all’ iper-attention (multitasking) ha formato un’ umanità techno-stressata, devota ad una performance-a-tutto-campo & ad un “determinismo tecnologico” (cit. M. McLuhan) da cui pare uscirne malconcia.
Senonché, l’ imperativo commerciale del prodotto tecnologico viene ritualizzato da una reclame sempre ridente che declina vantaggi inusitati per il cliente.
In forza del presupposto, si pone il dubbio circa la saldezza mentale di chi convintamente si protende in tale credo, visto che nella forbice tra adesso & prima tali vantaggi paiono disporsi a favore del prima.
Alla resa dei conti, la quarta rivoluzione industriale, nel possibilizzare l’impossibile, non riesce a convincere sul ben-essere di cui a tutt’oggi si proclama fautrice e di cui, addirittura, taluni vantano decisivi effetti.
Insiste e persiste una comunicazione riversata sul cittadino-cliente da cui non emerge il dato vero: il sostanziale fallimento della tecnocrazia se finalizzata ad un’esistenza felicemente emancipata.
Diversamente da una presunta gloria ricevuta, la tecnocrazia ha lasciato e sguinzagliato, come sgradita eredità, un demone della fretta pervasivo e degenerativo.
Non a caso, invece che approfittare del tempo personale risparmiato grazie all’ efficienza degli strumenti tecnologici disponibili, l’individuo accelera a sua volta il ritmo.
Per dirla alla JL Borges: “Il tempo è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre”. Massimiliano Barbin Bertorelli