Parlando genericamente di “sentimento” ed osservandone gli infausti ricorsivi effetti sull’essere umano, corre l’esigenza di elogiarne il pertinente inesauribile grado di sopportazione.
Per canonico esempio, ciò può notarsi nella persistente volontà individuale di conservare accanto una determinata persona, malgrado questa stessa non abbia mai apportato la “qualità affettiva” che l’individuo avrebbe opzionando la propria singletudine.
La caustica affermazione si rifà a quelle dinamiche, inconsciamente espiative, che compongono, non di rado, l’opaco e odierno ambiance dei “rapporti di coppia”.
Affrontando la questione in generale, mi limito ad osservare che, oggidì, tali rapporti pare non riescano, in media, ad elevarsi emotivamente oltre la risicata sufficienza ed a costituirsi a livello stabile di serenità. E che si risolvano, di fatto, in sottaciuti ripieghi, in avvilenti strategie, in tristi rivalse.
Insomma, un panorama di armamenti tatticamente utili a comporre l’idea di convivenza secondo canoni di inadeguatezza utili a costituire un degno statuto affettivo.
Non vi è dubbio che, segnatamente in questo ambito, il consumismo, fondato sul bisogno condizionato, dis-animi il contesto originario e, via via, ne fragilizzi l’impalcatura, al punto da renderne l’oggetto di quotidiani ed individuali interventi di ri-sanamento.
Non è tanto stigmatizzare la persistenza di una certa natura filofobica, ben identificata nella “paura di innamorarsi troppo” di Lucio Battisti (la canzone preferita, pare, dalla poetessa W. Szymborska), quanto segnalare un becero senso egoico che, da un lato erige muri tra le persone, dall’altro tende a creare un urgente “bisogno di coppia”, la cui essenza tuttavia “non apre il carcere della solitudine”, citando Carlo Cassola.
In realtà, non di rado, la nostra scelta si incammina autonomamente, come una “falena che vola da sé sulla fiamma”, verso esperienze inconsistenti.
E visto che, con evidenza, l’autonomia emotiva permane oggi una condizione inconquistata, serrata tra irrequietezze e compulsioni, all’uomo (e alla donna) non resta che pazientemente sopportare, con alterna consapevolezza, il prodotto che l’urgenza affettiva ha generato.
Massimiliano Barbin Bertorelli