Pressoché-nulla è tutto ciò che possiamo decidere della nostra esistenza.
A parte il paradosso di aggettivare “nostro” ciò che non lo è affatto, non è neppure anomalo, a tal proposito, che ci si debba (voglia) affidare ad una oscura sorte per compendiare la facoltà di non-decidere. Ciò è un’ anomalia da metabolizzare.
D’altro canto, l’eco di una patente lagnosità fa rimbombare in testa l’urgenza del tempo-che-fugge, riprendendo ogni aspettativa inesaudita o disillusa in tale inarrestabile deflusso.
Si arriva così al punto di correggere (alterare, piuttosto) le dinamiche naturali con cui l’essere umano, fino a ieri, ha ordinato e cadenzato la propria vita: quando non deprecava la pioggia per un velleitario desiderio del sole; quando non affrettava né divorava spasmodicamente il proprio tempo; quando non si redarguiva, né si affliggeva, per i ritardi di un cronoprogramma da lui stesso ideato.
Adesso, il termine “entro cui” esaudire i propri (ed altrui) desideri si fa oltremodo pressante. Insaziabili appetiti e pretese di performance spadroneggiano insolenti.
Sovviene un pensiero, simile a quello indotto dal “non pensare all’elefante” di Lakoff: attenzionare sensibilmente e scandire rigorosamente il flusso giornaliero degli impegni, distribuendoli con precisione tetragona e stabilendone ex-ante i risultati attesi.
Visto che “non t’accorgi del tempo quando sei intero, quando in ogni parola è l’immagine concreta della tua vita” (cit. Michelstaedter), è pensabile stabilire quale sia il “momento giusto” in cui accanirsi nello svolgersi di un qualcosa?
Tra il paganesimo emotivo in corso ed un malcelato furore individualista, può forse l’essere umano protendere utilmente a questa “giustezza”, senza aver prima contemplato l’idea che gli esiti possano rivelarsi fallaci e precari, nella misura in cui già lo erano i presupposti?
Nessuna pretesa di “giustizia” dovrebbe riguardare l’uomo, tantomeno in una sua forma pretestuosa. In termini di elementarità di bisogni, possiamo confortarci con Esiodo, visto che “una casa, una donna e un bue è tutto ciò di cui abbisogna l’uomo”.
In conclusione, ogni “momento”, in sé e per sé, è sempre quello “giusto”. Nel contempo, non lo è mai. Specie, quando l’umana tracotanza s’illude di apportare correttivi alla natura.
Massimiliano Barbin Bertorelli