L’umanità non ha sufficienti anticorpi per sopportare la presenza della sincerità. Se ogni singolo individuo ne somministrasse una dose quotidiana, anche minima, susciterebbe su di sé solo l’altrui diffidenza e l’altrui sospetto.
La sincerità resta una merce fuori-produzione, non a caso riecheggia nella considerazione di Attilio Momigliano, “con tutta la buona volontà di essere sinceri, la menzogna è onnipresente”, e nella proposizione evangelica di Giovanni, “l’ uomo è colmo di menzogne”.
Resta dunque falsa ogni recita della sincerità, giacché il suo concreto disvelarsi contraddirebbe, sovvertirebbe un pensiero ordinariamente occultato, più o meno abilmente mascherato dalla parola.
La pratica delle sincerità, fatto salvo il parresiasta biblico, è inconciliabile con un’esistenza mondana, iper-nutrita di immanenti intenti furbeschi e tatticismi miserevoli.
A ribadire, occorre cautelarsi nell’ eventuale utilizzo di sincerità, visto che dappertutto la sua è una presenza sovversiva.
Nondimeno, la menzogna trova comode giustificazioni in nome e per conto dell’educazione, della ragion di stato, del buon senso, che implicitamente suggeriscono nelle relazioni sociali il calcolo anticipato delle conseguenze.
Certamente, la manipolazione della menzogna contravviene gli effetti della sincerità.
In sintesi, nella misura in cui ci sentiamo paradossalmente confortati dalla menzogna, si applica la regola di F. Mauriac: “assurdo giocare correttamente quando tutti intorno barano”. Massimiliano Barbin Bertorelli
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