In cosa effettivamente consiste la presenza di vita intelligente sulla Terra?
L’irriverente quesito, da cui risalta un rapporto causa & effetto quantomeno discutibile, suggerisce implicitamente una risposta incerta e balbettante, significativamente congeniale a mettere in discussione le celebrazione delle doti intellettive assegnate al genere umano.
A ribadire, pur nella vastità di significati relativi che la verità ha via via assunto, la storia vivente rende percentualmente ragionevole qualche dubbio sull’ attuale prodotto dell’ intelletto.
D’altronde, nessuno è in condizione tale da poter oggettivamente sostenere che i prodotti oggidì ereditati e le pratiche in essere espongano in sé traguardi tali da additare un uso frequente dell’ intelletto: non a caso, già P.H. d’Holbach nel 1772 affermava che “nulla è più raro che vedere l’uomo far uso di intelletto”.
E’ insindacabile che questo arrogante intelletto, di cui fa sfoggio l’operato umano, non abbia la volontà/capacità di produrre effetti umanamente desiderabili, salvo servirsi dell’ atout del progresso tecnologico per predare consenso e salvo spacciarne il prodotto come indubitabile vantaggio.
Solo quando l’intelletto umano diventa dogma, atto di fede, non ha esigenza di oggettivare e giustificare la propria qualità in ordine a risultati, sempre e comunque mistericamente celebrati.
Non soltanto idealizzando la presenza dell’intelletto, bensì sostanziandola, ne può conseguire un progresso vertebrato, un progresso in cui, per darne esempio corposo, gli arti per ottenere un passo sicuro e stabile debbono essere tra loro coordinati, non scoordinati stile passo da marionetta.
Resta l’oggettiva difficoltà di credere nell’esistenza di un qualcuno o qualcosa di intelligente quando il suo periodico identificarsi non suscita una generale positiva ricaduta, in ciò ricordando la frase in un dipinto del Giorgione (1500): “non vale l’ingegno se non valgono i fatti”.
In conclusiva sintesi, l’enigma dell’arrogante presenza sulla Terra del genere intelligente diventa l’enigma di una Natura che, pur non prevedendo l’ infimo, pare pazientemente tollerarlo. Massimiliano Barbin Bertorelli