E’ coerente ad una “Società estetica” assegnare al modo di camminare, quindi al “portamento”, una decisiva funzione sociale.
Lo è anche devolvere attenzione ed impegno al fine di intercettare in qualche modo l’altrui consenso, imponendo stilemi visivi performanti, di cui ciascuno è, in vario modo, coinvolto protagonista.
La presente questione la si esplichi come ancillare regressione del concetto di “eleganza”, nella misura in cui l’apprendimento di stile e di “portamento” ha il superficiale intento di indurre una astratta e generale se-duzione.
Leggere, quindi, di un “corso di portamento” tra i vari “corsi di formazione” pubblicamente affissi, è allineato a tale vagheggiamento estetico. Ad un trend contemporaneo che insinua, con vari mezzi, la supponente esposizione di sé come “formula di successo”.
In effetti, accanto agli atteggiamenti sguaiati e rozzi, orgogliosamente e pubblicamente esposti, resuscitare il cadavere del “portamento fiero” con un apposito “corso” può essere un inizio.
Questa opzione rientra tra le proposte “formative” e va a saldare l’ambizione umana con tutto ciò che appare, facendo, di una sana passeggiata in centro, una passerella di moda.
Da un lato, è significativo l’intento compulsivo di voler se-durre (etimologicamente, attrarre a sé), padroneggiando l’atout del “portamento”. Dall’altro, non può tacersi, nel legittimo perseguimento di ogni obiettivo, la contraddizione insita nell’odierno vagare ipnotizzati, rivolti al display del proprio smartphone.
Traslitterando liberamente Freud, potremmo così incorrere in un comportamento a “meta in-ebetita”, laddove l’ambizione per un portamento altero si infrange nel peregrinare tragicamente ingobbito, essenziale per seguire costantemente i social.
Massimiliano Barbin Bertorelli