E’ logico presumere che la simmetrica combinazione tra una visione statica delle cose e la costante replicazione dei singoli comportamenti produca, nel tempo, risultati preordinati ed immutabili.
Così come è logico riconoscere che avere la soluzione di un problema non equivale a risolverlo, dipendendo ciò, tra l’altro, anche dal soggetto interessato.
Il duplice assunto tende a contemplarsi con facilità solo a livello teorico, visto che metabolizzare nuovi schemi mentali, rispetto a quelli consuetudinari, é fatto che esorbita dal trend della volontà/possibilità umana.
Purchessia, la resistenza alle innovazioni trova una sua giustificazione in una prassi quotidiana addomesticata e nel progressivo consolidamento dell’idea di reputare sempre e comunque adeguato ed astuto il proprio comportamento, a prescindere dall’esito sfavorevole in cui è potuto incorrere.
L’abitudine, inesorabile ed insidioso riparo, rifugge ed esclude, in re ipsa, ogni altra sperimentazione, giacché la si immagina non contributiva per offrire un migliore margine di risultato.
Non importa, quindi, se tendiamo a radicarci ed attardarci nella replica, traendone poco o nulla di differente. D’altronde, é ingenuo pensare che un favorevole esito dipenda soprattutto da benevoli fattori alternativi ed esterni: ciò pre-costituendo indirizzo per la perpetuazione dei presupposti.
Stante l’approccio su cui si fonda l’assunto, occorre concludere che ogni azione umana trovi già nell’idea del facitore la propria a-prioristica conferma, salvo inveire contro il mondo , comoda e generica impersonificazione della causa dell’eventuale insuccesso.
Tale approccio viene infatti emendato e non di rado contraddetto ex sé. Al punto da riuscire a trovare una quadra solo nel dogma che assegna correttezza e giustezza alla serialità.
Non è quindi ipotizzabile innovare d’emblee un processo che ha determinato cose buone. Tantomeno, disfarsi di tutto ciò che ne ha costituito di cattive.
La selezione comparativa non è un metodo immediatamente applicabile. Pur tuttavia, c’è da esserne persuasi, l’uomo non ne sentirà la mancanza: non può mancare, infatti, ciò di cui non si sente bisogno.
Massimiliano Barbin Bertorelli