Tratteggio in sintesi alcune considerazioni sull’immarcescibile rito lavorativo della pausa-caffè (restrizioni pandemiche permettendo), residuo della socialità oggi praticabile.
Una tradizionale pausa, un distensivo stacco dal lavoro (a patto di avere un lavoro), la conquista di un tempo sottratto alla frenesia a-sociale della vita urbanizzata.
Alla resa dei conti, l’ultimo sopravvissuto tra i riti conviviali, considerato che, di norma, la fine di ogni giornata lavorativa prevede la fuga a casa senza fermate intermedie, salvo una sosta al supermercato per il cibo o in farmacia per i calmanti.
Sia come sia, riuscire giornalmente (e serenamente) a scambiare qualche parola non è scontato in una Società che, già prima del virus, si dimostrava piuttosto scettica e resistente alla socialità.
Pertanto, almeno per un attimo, accantoniamo quello scrutarci di sottecchi che caratterizza il modo diffidente del rapporto-da-covid e avviamoci senza titubanze al rito del caffé, procurandoci uno piccolo spazio per conversare tra la fase dell’ordinazione e quella del conto.
Con giusta dose di ironia, malgrado tutto, ricordando che “Il mondo è burla”, citando il Falstaff di Verdi, la pausa-caffè può costituire un esorcismo al demone della clausura domiciliare che l’individuo convintamente serba in sé e per sé.
Poco importa se la pausa tende al numero chiuso dei componenti, a considerare intruso ed estraneo ogni eventuale nuovo ingresso, smentendo la cultura dell’ “aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più”.
Godiamocela comunque, così com’è, prima di scappare precipitosamente a casa. Prima di stravaccarci dinanzi al tv per i consueti aggiornamenti sulla pandemia, sulle altre disgrazie in corso o sul beneamato gossip. Prima di essere sopraffatti e consumati dai consigli-per-gli-acquisti.
Il rito del caffè è uno degli ultimi residuati di socialità in un momento storico afflitto da evidenti tensioni separative e da un clima di generalizzata paura e di sottaciuto reciproco sospetto; un momento storico in cui l’estensione della propria rete sociale è rimessa principalmente alla dimensione virtuale, alla chat notturna e (forse) segreta, inesauribile riserva di contatti utile a placare, accanto alla breve pausa-caffè, la solitudine dell’uomo contemporaneo. Massimiliano Barbin Bertorelli