In un brano di quest’estate, Luca Carboni ha introdotto una strofa in cui definisce gli esseri umani “tristi per natura”.
Malgrado le motivazioni e le eventuali fonti a supporto di tale definizione, intendo contro-dedurre l’avvilente enunciazione, rinvenendo invece nell’essere umano una quota, ancorché variabile, di giocosità.
A sostegno di tale assunto cito, in un impudente accostamento, un paio di fonti tematiche: la “Illogica allegria” di Gaber e l’ “Homo ludens” di Huizinga.
Per altro verso, estraggo dal magico cilindro ulteriori elementi per tentare di rafforzare il concetto, mutuandoli vuoi dalla diretta osservazione e dalla conoscenza, pur limitata, di una quota di umanità, vuoi dal Momigliano, quando identifica e narra la “gaiezza” dell’indole umana, e dalla Weil, quando sostiene che “l’uomo è fatto per la felicità, da cui è sottratto per le costrizioni del mondo”.
Questa “genetica della contentezza”, malgrado gli accidenti, non pare minimamente incrinabile dalla consapevolezza di una subalternità umana rispetto ad una Natura, cui “si comanda solo ubbidendole” (cit. F.Bacone).
In men che non si dica, questa insita, indomita energia connota la funzione organica dell’uomo quale animale-pensante, in essa scimmiottando l’animale-non-pensante, cui peraltro tenacemente spetta, secondo Nietzsche, la originaria “volontà di potenza”.
In aderenza alla Natura ed ai principi che la enucleano, pare di poter persino azzardare la parvenza di un collegamento tra tale “volontà di potenza” e la darwiniana “conservazione della specie”.
Sia come sia, senza esondare dall’alveo, tale disponibilità all’euforia, tale attitudine all’entusiasmo, ancorché sporadico manifesto, sostanziano l’attuale spirito di auto-conservazione nel difficile esercizio di socialità quotidiano.
E’ in tale espressione di contentezza, forse più che in altre, ancorché maggiormente accreditate, che l’esistenza umana può riconoscere il proprio (forse unico?) “senso”.
Massimiliano Barbin Bertorelli