Vi sono alcune modalità di esistenza, risolte o meno che siano, informate a dinamiche squisitamente occluse ed introflesse, che non si curano di ottenere comprensione, né dalle persone con cui intrattengono rapporti formali, né da quelle con cui condividono la vita.
Sia come sia, ipotizzando un sincero disvelamento di tal modus cogitandi, è prevedibile che queste modalità incassino una comprensione altrui marginale. Ed anche, probabilmente, una sovradimensionata percezione di sé.
D’altronde, a ben vedere, come poter pretendere da altri ciò che non si è in grado di garantire a sé?
Trattasi talvolta, semplicemente, di una condizione percepita di generale ingratitudine, da cui deriva una condizione volontaria di solitudine: che emerge, anche improvvisamente, quando si ha di fronte la possibilità di comunicare e partecipare il proprio sentimento.
Per estensione, nella misura in cui Calvino afferma che “i ricordi che abbiamo gli uni degli altri non coincidono”, è consueto vivere emozioni singolari, distinte, immiscibili ed incomunicabili, qualsivoglia sia la loro forma di comunanza.
In addendum, sempre fonte Calvino, una distrazione dagli altri può adottare una “irriconoscenza per la tela, per il telaio e per il suolo su cui il muro poggia, rispetto all’ attenzione per il dipinto”. Un impedimento tipico del sentimento verso sé.
Tale percezione sconta, per un verso, la babelica incomunicabilità dell’umana specie, per l’altro, l’egoismo che vi si imprime a pelle.
Ponendo una ferma distinzione tra le finalità del postulare comprensione, l’esistenza personale rischia di transitare solitaria tra la folla, nella ferrea e malcelata “volontà di avere ragione”, nell’incapacità, nella fattiva avversione al petrarchesco “non parlerò a tutti, ma a te, a me, a loro”.
L’esclusivo “sentimento della propria importanza” gioca un ruolo sleale principalmente nei confronti di noi stessi, quando cerca, con tutti i mezzi, di solfeggiare l’egoistica armonia del “sentirsi a casa”.
La dimensione extra-individuale reclama intimamente la possibilità attingibile di un pronome “io” che non sia sempre in pole position.
Per concludere, merita una attenta riflessione la considerazione di Simmel, per cui “la crescente differenziazione ha individualizzato le personalità in modo troppo singolare per rendere possibile la reciprocità della comprensione”.
Massimiliano Barbin Bertorelli